Cancelleria degli Ordini Dinastici della Real Casa di Epiro

La Cancelleria degli Ordini Dinastici della Real Casa d'Epiro, con il presente vuole rendere edotti tutti coloro che volessero presentare domanda di ammissione nell'Ordine Costantiniano di Epiro di contattare gentilmente il seguente indirizzo di posta elettronica : ordinessgeddiepiro@libero.it

Sperando di avere fatto opera gradita, la Cancelleria degli Ordini Dinastici della Real Casa d'Epiro, coglie l'occasione per porgere cavallereschi saluti.



martedì 29 settembre 2009

SANTI ARCANGELI MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE

Gli Angeli sono esseri misteriosi, e in forma misteriosa ne parla il profeta Daniele nella celebre profezia sul Figlio dell'uomo che la liturgia ci fa leggere oggi: "Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui; mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano". Daniele non nomina gli Angeli: parla di fuoco, di migliaia, di miriadi di miriadi... Sono veramente esseri misteriosi. Noi li rappresentiamo come uomini dal viso soave e dolce, nella Scrittura invece appaiono come esseri terribili, che incutono timore, perché sono la manifestazione della potenza e della santità di Dio, che ci aiutano ad adorare degnamente: "A te voglio cantare davanti ai tuoi angeli, mi prostro verso il tuo tempio santo". Come preghiamo nel prefazio di oggi: "Signore, Padre santo, negli spiriti beati tu ci riveli quanto sei grande e amabile al di sopra di ogni creatura". Nella visione di Daniele non sono gli Angeli gli esseri più importanti: vediamo più avanti "uno, simile ad un figlio d'uomo" ed è lui, non gli Angeli, ad essere introdotto fino al trono di Dio, è a lui che egli "diede potere, gloria e regno", è a lui che "tutti i popoli serviranno". La stessa cosa vediamo nel Vangelo: gli Angeli sono al servizio del Figlio dell'uomo. "Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo" dirà Gesù, facendo allusione sia a questa visione di Daniele sia alla visione di Giacobbe, che nel sonno vede gli Angeli salire e scendere sul luogo dove è coricato e che dà il senso della presenza di Dio in tutti i luoghi della terra. Gli Angeli di Dio sono dunque al servizio del Figlio dell'uomo, cioè di Gesù di Nazaret; la nostra adorazione non è rivolta agli Angeli, ma a Dio e al Figlio di Dio. Gli Angeli sono servitori di Dio che egli, nella sua immensa bontà, mette al nostro servizio e che ci aiutano ad avere un senso più profondo della sua santità e maestà e contemporaneamente un senso di grande fiducia, perché questi esseri terribili sono al nostro servizio, sono nostri amici. Domandiamo al Signore che ci faccia comprendere davvero la sua santità e maestà infinite, perché ci prostriamo con sempre maggiore reverenza alla sua presenza, davanti ai suoi Angeli.

Prima lettura
Dn 7,9-10.13-14
Mille migliaia lo servivano

Dal libro del profeta Daniele
Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti. Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto.
Parola di Dio.
Oppure: (Ap 12,7-12)
Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago.
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire. Esultate, dunque, o cieli, e voi che abitate in essi”.
Parola di Dio

Salmo responsoriale
Sal 137

A te cantiamo, Signore, davanti ai tuoi angeli.
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: hai ascoltato le parole della mia bocca. A te voglio cantare davanti agli angeli, mi prostro verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie al tuo nome per la tua fedeltà e la tua misericordia. Nel giorno in cui t’ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza.
Ti loderanno, Signore, tutti i re della terra quando udranno le parole della tua bocca. Canteranno le vie del Signore, perché grande è la gloria del Signore.
Canto al Vangelo (Sal 102,20.21)
Alleluia, alleluia.
Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli, suoi ministri, che fate il suo volere.
Alleluia.

Vangelo
Gv 1,47-51
Vedrete gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo

+ Dal Vangelo secondo Giovanni In quel tempo, Gesù, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Natanaele gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”. Gli replicò Natanaele: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”. Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.
Parola del Signore
Fonte:www.lachiesa.it

lunedì 28 settembre 2009

Lunedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario - Liturgia del Giorno-

Anche oggi il Vangelo ci ricorda le condizioni di una vera fraternità. E la prima condizione è l'umiltà: non discutere per sapere chi è il più grande. Bisogna supporre che questo problema fosse molto vivo per gli Apostoli, perché Gesù nel Vangelo ritorna spesso su questo punto. È vero che questo è naturale nell'uomo e non è un male: è Dio, il Creatore che ha messo in noi questo desiderio di grandezza, perché dobbiamo trovare la grandezza vera. Il Signore non ci rimprovera di cercarla, anzi ce ne insegna la strada. Dicendo: "Chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande", egli approva il nostro desiderio, ma ci indica dove si trova la vera grandezza e ci mostra come abbiamo torto quando ci paragoniamo gli uni agli altri e desideriamo innalzarci altri: la vera grandezza sta nel servire. Servire, essere ignorato, essere disprezzato è grandezza maggiore che essere servito, onorato al di sopra degli altri.Ancora, il Signore ci insegna la strada dicendoci di accogliere i piccoli. Non solo di farci piccoli, ma di metterci al servizio dei piccoli. Egli stesso ci ha dato l'esempio nell'Ultima cena, nella quale ci ha fatto intravedere il senso della sua imminente passione: si è messo ai nostri piedi, ci ha lavato i piedi come uno schiavo. E si è umiliato fino alla morte, alla morte di croce. Per questo scrive san Paolo ai Filippesi Dio l'ha esaltato al di sopra di tutti.Se la nostra idea di grandezza ha come modello questa immagine del Signore, la nostra fraternità è autentica e il Signore è presente in mezzo a noi nella sua umiltà e grandezza.Il secondo passaggio del Vangelo ci indica un'altra caratteristica della vera fraternità: la tolleranza. "Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi". Ma Gesù non è dello stesso parere: "Non glielo impedite". Non si può pretendere che nel seguire il Signore tutti camminino allo stesso modo: questa sarebbe uguaglianza esteriore, ma noti fraternità che rispetta la vocazione irripetibile di ciascuno. il Signore qui dice una frase un po' speciale: "Chi non è contro di voi, è per voi". Un'altra volta egli ha detto: "Chi non è con me, è contro di me" e sembrano parole in contrasto tra loro. Non è così, perché qui non si tratta di lui, ma dei discepoli e del loro modo di seguire il Maestro. I discepoli devono essere contenti di vedere che anche altri seguono Cristo, sia pure in una maniera che non è la loro.Domandiamo al Signore questa apertura di cuore, perché in ogni comunità cristiana l'umiltà, il servizio reciproco e la vicendevole tolleranza costruiscano una vera fraternità.

Prima lettura
Zc 8,1-8
Io salvo il mio popolo dalla dall’Oriente e dall’Occidente.

Dal libro del profeta Zaccarìa
La parola del Signore degli eserciti fu rivolta in questi termini: «Così dice il Signore degli eserciti:Sono molto geloso di Sion,un grande ardore m’infiamma per lei.Così dice il Signore: Tornerò a Sion e dimorerò a Gerusalemme. Gerusalemme sarà chiamata “Città fedele” e il monte del Signore degli eserciti “Monte santo”. Così dice il Signore degli eserciti: Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze.Così dice il Signore degli eserciti: Se questo sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche ai miei occhi? Oracolo del Signore degli eserciti.Così dice il Signore degli eserciti:Ecco, io salvo il mio popolodall’Oriente e dall’Occidente:li ricondurrò ad abitare a Gerusalemme;saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio,nella fedeltà e nella giustizia.
Parola di Dio

Salmo responsoriale
Sal 101

Il Signore ha ricostruito Sion ed è apparso nel suo splendore.
Le genti temeranno il nome del Signoree tutti i re della terra la tua gloria,quando il Signore avrà ricostruito Sione sarà apparso in tutto il suo splendore.Egli si volge alla preghiera dei derelitti,non disprezza la loro preghiera.
Questo si scriva per la generazione futurae un popolo, da lui creato, darà lode al Signore:Il Signore si è affacciato dall’alto del suo santuario,dal cielo ha guardato la terra,per ascoltare il sospiro del prigioniero,per liberare i condannati a morte.
I figli dei tuoi servi avranno una dimora,la loro stirpe vivrà sicura alla tua presenza,perché si proclami in Sion il nome del Signoree la sua lode in Gerusalemme,quando si raduneranno insieme i popolie i regni per servire il Signore.
Canto al Vangelo (Mc 10,45)
Alleluia, alleluia.
Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.Alleluia.

Vangelo
Lc 9,46-50
Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande.

+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande».Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».
Parola del Signore
Fonte:www.lachiesa.it

Ottoman de jure Sultan has died in Istanbul aged 97

Thursday, 24 September 2009
His Imperial Highness, Prince Ertugrul Osman - the de jure sultan known in Turkey as the "last Ottoman" - has died in Istanbul at the age of 97.Prince Osman would have been sultan of the Ottoman Empire had Turkey not be pushed into a republican system in the 1920s. As the last surviving grandson of Sultan Abdul-Hamid II, he was known as his Imperial Highness Prince Shehzade Ertugrul Osman Effendi. Born in Istanbul in 1912, Prince Osman spent most of his years living modestly in New York. He was a 12-year-old at school in Vienna when he heard the news that his family was being expelled by Mustafa Kemal Pasha, the soldier who founded a Turkish republic by betraying the sultan's confidence. Prince Osman eventually settled in New York, where for more than 60 years he lived in a flat above a restaurant. Always insisting he had no political ambition, he only returned to Turkey in the early 1990s at the invitation of the government. During the visit, he went to Dolmabahce - the palace by the Bosphorus where he had played as a child. Characteristically, he joined a tour group in order to avoid any red-carpet treatment. Prince Ertugrul Osman is survived by his wife, Zeynep, a relative of the King of Afghanistan.

Il Cardinale Silvio Oddi, cugino della Principessa madre d' Epiro


Il prossimo 29 Giugno ricorrerà l' ottavo anniversario della morte del Cardinale Silvio Oddi, Prefetto emerito della Congregazione per il Clero, che nacque a Morfasso, diocesi di Piacenza-Bobbio (Italia), il 14 novembre 1910. Egli era cugino della Principessa Madre d'Epiro Donna Giuseppina.Nel 1921 entrò nel Seminario Diocesano di Piacenza. Ordinato sacerdote il 21 maggio 1933, si trasferì a Roma dove nel 1936 si laureò in Diritto Canonico presso il Pontificio Ateneo Angelicum, conseguendo contemporaneamente il diploma della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Lo stesso anno fu chiamato nel servizio diplomatico della Santa Sede e inviato nella delegazione apostolica in Iran, dalla quale - nel 1939 - passò a quella in Libano. In questa Sede ebbe il compito di ristabilire i contatti tra la Santa Sede e le sue rappresentanze in Medio Oriente, interrotti o resi difficili dalle vicende belliche: risalendo la penisola balcanica tra difficoltà di ogni tipo, riuscì a raggiungere Roma con documenti e rapporti delle nunziature del Medio Oriente e di quelle dei Paesi da lui attraversati. Al termine della missione fu assegnato alla delegazione apostolica d'Egitto e Palestina, dove s'impegnò nell'assistenza ai prigionieri di guerra, assicurandone altresì le comunicazioni con le famiglie che, a centinaia di migliaia, avvenivano per il tramite della delegazione e dei servizi radiofonici vaticani. Negli anni successivi prestò servizio nelle nunziature apostoliche di Istanbul e di Belgrado.Il 30 luglio1953 fu eletto alla Chiesa titolare Arcivescovile di Mesembria (la consacrazione avvenne il 27 settembre) e nominato delegato apostolico per Gerusalemme e Palestina, ove rimase per quattro anni e stabilì amichevoli contatti con i rappresentanti dei patriarcati ortodossi, giungendo ad accordi per il restauro dei Luoghi Santi; svolse un'intensa opera assistenziale a favore delle migliaia di profughi arabi sistemati sulle due rive del Giordano e nel territorio di Gaza. Nel luglio del 1956 tornò al Cairo per trattare con le autorità egiziane la questione delle scuole cattoliche, riuscendo pure ad evitare - nel difficile momento della crisi del canale di Suez - l'espulsione degli ecclesiastici europei. Nel 1957 divenne internunzio apostolico in Egitto sino al 1962. Compì due missioni a Khartoum per appianare le difficoltà sorte tra il governo sudanese e le missioni cattoliche operanti nel sud del paese.Nel 1962 fu nominato Nunzio Apostolico in Belgio e Lussemburgo, incarico mantenuto fino alla nomina cardinalizia nel 1969.Da Paolo VI creato e pubblicato nel Concistoro del 28 aprile 1969; del Titolo di S. Agata de' Goti, Diaconia elevata nel 1979 pro illa vice a Titolo presbiterale.Dal giugno 1969 e fino al maggio 1996 è stato Legato Pontificio per la Patriarcale Basilica di S. Francesco in Assisi. Dal 1969 al 1974, anche Presidente della Commissione Cardinalizia per i Santuari di Loreto e Pompei.Il 28 settembre 1979 è stato nominato da Giovanni Paolo II Prefetto della Congregazione per il Clero, rimanendo a capo del Dicastero fino alla fine del 1985. Appassionato di ordini cavallereschi apparteneva a molti di essi e, nella Sua veste di Protettore Spirituale dell'ordine di San Lazzaro di Gerusalemme, accolse come membro di detto ordine, a Roma, nel 1998, in una cerimonia tenutasi nella chiesa di San Teodoro, il Serenissimo Principe, figlio di sua cugina.Il Card. Oddi è deceduto, dopo lunga malattia, il 29 giugno 2001.


Fonte: Santa Sede

giovedì 24 settembre 2009

Michele I d'Epiro Ducas Comneno

Michele I Ducas (... – Corfù, 1215) fu despota dell'Epiro dal 1205 fino alla sua morte. La zona dell'Epiro da lui governata era la vecchia provincia di Nicopoli.
Nascita di uno stato
Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1204, i cittadini Greci cercarono di radunarsi in alcune zone per difendersi dai Latini. Michele I colse l'occasione per porsi alla guida della città, prendendo con sé dei soldati a lui fedeli: difese dai Latini l'Epiro e, vedendo ciò, i cittadini Greci della Tessaglia e del Peloponneso si posero sotto la sua protezione.
Michele I venne considerato metaforicamente dai suoi sudditi come un secondo Noè in grado di dare riparo al popolo greco dall'alluvione dei Latini. La sua famiglia era peraltro di origine imperiale, come del resto quella di Isacco II di Bisanzio e Alessio III di Bisanzio, suoi cugini.
Governo
Il despotato d'Epiro dal 1205 fino al 1230.
Michele I chiese al vecchio patriarca di Costantinopoli, Giovanni Camatero, di essere riconosciuto come Imperatore Bizantino, ma tale riconoscimento non fu concesso: ad essere riconosciuto come imperatore di Bisanzio fu invece Teodoro I di Nicea. In conseguenza di questo succedersi di eventi Michele I decise di sottomettersi alla Chiesa cattolica.
Enrico di Fiandra domandò a Michele I fedeltà all'Impero latino, una fedeltà che ottenne attraverso il matrimonio della figlia di Michele I con suo figlio Eustachio (le nozze avvennero nel 1209). In realtà, Michele I non prestò poi molta fede a questa alleanza, confidando nella sua capacità di muoversi con sicurezza fra le impervie montagne, presupponendo che esse avrebbero fermato tutti i Latini con cui fosse venuto a conflitto.
Nel frattempo i parenti di Bonifacio fecero rivendicazioni sull'Epiro e Michele I, nel 1210, strinse un'alleanza coi Veneziani per attaccare l'Impero di Tessalonica in mano alla casata dei Bonifacio. Michele I si dimostrò disumano coi suoi prigionieri, arrivando a crocifiggere alcuni preti latini. Per tutta risposta, Papa Innocenzo III lo scomunicò. Enrico tornò in città in quell'anno e costrinse Michele I ad una nuova alleanza, sia pure solo nominale.
Fine
Il despota si dedicò invece a catturare altre città strategiche che erano in mano latina, come Larissa, Durazzo e Ohrid, e ad assicurarsi il controllo della via Ignazia per Costantinopoli. Prese inoltre controllo dei porti sul golfo di Corinto. Nel 1214 strappò Corfù ai Veneziani, ma fu ucciso l'anno seguente dal fratellastro Teodoro, che gli succedette al trono.
Bibliografia
R. Lilie, Bisanzio la seconda Roma, Roma, Newton & Compton, 2005, ISBN 88-541-0286-5. The Oxford Dictionary of Byzantium, Oxford University Press, 1991.
Fonte: it.wikipedia.org

lunedì 21 settembre 2009

L' Ordine di San Raffaele ed il Gran Principe d'Epiro

Il Gran Maestro dell' Ordine di San Raffaele Chev. Howard F. Doe, come ogni anno ha invitato Dom Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia all' annuale Capitolo dell' ordine che si terrà il prossimo 16 Gennaio 2010 a Peterborough, nel Regno Unito. L'ordine, composto per la maggior parte da sudditi britannici, ha infatti sede in Gran Bretagna ed il Principe d'Epiro ne fa parte già da diversi anni. Il giorno successivo il Capitolo, ossia il 17 Gennaio, vi sarà una cerimonia religiosa nella quale saranno investiti i nuovi cavalieri e ad altri verrà attribuita una promozione.

Premio nazionale di poesia "Monte Netto"

La Principessa Patrizia è risultata vincitrice del secondo premio del Premio nazionale di poesia "Monte Netto". La cerimonia di consegna del premio, bandito dal Comune di Capriano del Colle (BS), si è tenuta in detto comune sabato 19 settembre scorso a partire dalle ore 16.00; fra i numerosi presenti, oltre alla Casa dei Principi d'Epiro, la cantante Sara Ricchini, già del cast di Domenica in di RAI UNO, il presentatore Nino Frassi, varie autorità civili, militari ed ecclesiastiche bresciane. La lirica della Principessa è stata pubblicata nell'antologia "Scintille di rugiada" pubblicata da Vannini Editrice. La Principessa ha ricevuto i complimenti dei presenti. La cerimonia è stata tramessa domenica 20 da varie televisioni lombarde. Un sontuoso buffet ha chiuso piacevolmente la serata.

I Cavalieri di Sant' Antonio di Lisbona

Esiste in Portogallo la Nobile istituzione dei Cavalieri di Sant' Antonio di Lisbona, la cui fondazione risale al XVI secolo. Ad essa appartengono Nobili e Prelati cattolici. L' Ordine ha sempre avuto uno stretto legame con varie Case Sovrane europee e con la Santa Chiesa cattolica; nella primavera del 2008 il Capitolo ha deciso di chiedere a S.A.S. il Gran Principe d' Epiro di volersi degnare di concedere la Sua Alta protezione a tale Nobile Istituzione ed il Serenissimo Principe ha acconsentito di buon grado. Ivi è possibile visitare il sito dei Cavalieri di Sant' Antonio di Lisbona http://capitulodesantoantonio.googlepages.com/

L'Ordine Equestre dell'Aquila d'Epiro



Commenda dell' Ordine Equestre dell'Aquila d'Epiro

L'Ordine Equestre dell'Aquila d'Epiro



La tradizione dice che tale ordine fu fondato da Michele I, Despota d'Epiro (Despota in greco significa Sovrano), nel 1207; il Governo del Nord Epiro, dopo essersi proclamato indipendente dall'Albania nel 1914, lo rivitalizzò nello stesso anno.L'idea di rivitalizzare tale ordine cavalleresco fu chiaramente dovuta in primo luogo alla volontà di dare corso immediato a quanto previsto dal Protocollo di Corfù, che, firmato dai rappresentanti epiroti e dai plenipotenziari di Italia, Germania, Austria-Ungheria, Francia, Regno Unito e Russia aveva riconosciuto al Governo epirota la facoltà di battere moneta, stampare francobolli, arruolare milizie e disporre di ordini cavallereschi propri, in secondo luogo fu dovuta al desiderio di fruire di una onorificenza con cui premiare i combattenti per la libertà epirota.Il Governo lo istituì, come dicevamo, sostenendo che esso era la rivitalizzazione di un ordine vetusto, già conferito da Michele I Angelo Ducas Comneno, antico paladino della libertà del popolo d'Epiro. La sua figura fu assai importante per l'Epiro perché fu sotto di lui che il paese conobbe, per la prima volta, l' indipendenza, se escludiamo l'antichità classica. Il Despota Michele era membro della famiglia imperiale bizantina e vi fu un momento in cui rivendicò pure il trono imperiale scontrandosi col Patriarca di Costantinopoli che gli preferì Teodoro I di Nicea. E' certo che la sua famiglia conferì ab antiquo l' ordine cavalleresco denominato Milizia Aurata Costantiniana i cui primi Statuti furono redatti dall' Imperatore Isacco Angelo nel 1191, che lo fondò probabilmente ad imitazione degli ordini i cui membri transitavano sui territori del suo Impero per recarsi in Terra Santa. Fra i Gran Maestri scaturiti da tale famiglia possiamo ricordare Andrea II, Principe di Macedonia, Duca di Durazzo e Drivasto, defunto nel 1479 e suo fratello Pietro I, deceduto nel 1511 e giova rammentare che Papa Giulio III con la Bolla Quod alias del 17 luglio 1551 garantì vari privilegi ai Principi Andrea e Geronimo Angelo. Va detto anche gli Angeli furono posti sotto la protezione spirituale del Patriarca di Alessandria con Ammonizione 7 novembre 1575 ed in essa il Capo del Casato è citato come Gran Maestro dei Cavalieri Costantiniani. Negli Statuti a stampa pubblicati a partire dal 1573 il Gran Maestro in carica affermò a chiare lettere che la sua famiglia disponeva di tale ordine da tempo immemorabile: "Noi Hieronimo Angelo, Principe di Tessaglia, Duca e Conte di Drivasto, ecc, Sovrano e Gran Signore dell' Illustre Militia Aureata Angelica di Costantino, ordiniamo che si come è stata sempre per lo passato nella nostra felicissima e Imperial Casa Angela cossi anco sia per l'avvenire, cioè, che tutti i nostri legittimi e naturali discendenti, siano in perpetuo Sovrani Patroni e Gran Signore de' Cavalieri Aureati, Angelici, di Costantino Magno nostro progenitore sotto il titolo e sotto la prottetione del beato Martire San Giorgio".La Milizia Angelica di Costantino, per alterne vicende che qui non intendiamo trattare perché ci porterebbero fuori dalla nostra ricerca, passò successivamente ai Farnese, indi ai Borbone - Napoli ed oggi è conosciuta come Ordine Costantiniano di San Giorgio. E' certo che Michele I la conferì a partire dal 1207 e poiché egli usava il vessillo della Casa Imperiale di Costantinopoli, l'aquila bicipite di nero in campo rosso, essa risulta essere stata identificata, durante il suo regno, anche col nome di Milizia Aurata dell'Aquila d'Epiro. Il Governo nordepirota, dunque, nel 1914, rifondandola col nome di Ordine dell'Aquila d'Epiro, intendeva collegarsi idealmente a Michele I e fare di tale Principe un mito fondante per la propria storia nazionale. Alessandro di tale ordine si presentava come terzo Gran Maestro perché ne venne considerato primo Michele, secondo Giorgio Cristaki Zografos, Alessandro terzo, per cui l'attuale Gran Maestro è numerato come quarto. Dopo l'abdicazione di Alessandro il Principe Davide incaricò una commissione di stenderne i nuovi Statuti che sono stati promulgati il 1 Settembre 2002 e che, congiuntamente con gli Statuti degli altri ordini di collazione del Gran Principe, sono stati depositati presso l'Archivio di Stato di Sulmona. Con essi tale milizia ha assunto la denominazione di Ordine Equestre dell'Aquila d'Epiro per sottolinearne la vetustà e le nobili tradizioni, la decorazione è costituita da una croce ottagona, accantonata da quattro aquile bicipiti caricate dello stemma dell' Epiro moderno. I colori sono il bianco e l'azzurro, propri del vessillo nordepirota ancor oggi utilizzato. Alessandro conferì l'ordine facendo riferimento agli Statuti del 1914 senza tuttavia disporre delle decorazioni, di cui non si conosceva la foggia né si avevano descrizioni d'epoca, poiché le matrici venivano date per disperse nelle vicissitudini belliche dello Stato nordepirota, ma esse sono state rinvenute nel 2003. Il ritrovamento è stato assai importante perché ha dimostrato, a chi avesse voluto negarne l'esistenza storica, che tale ordine esiste davvero, nella sua versione moderna, dai tempi del Governo del Nord Epiro. In seguito la Santa Chiesa ortodossa d' Epiro ha istituto un proprio ordine di merito, l' Ordine Costantiano dei Santi Giorgio e Demetrio d'Epiro che si ricollega alla stessa vetusta tradizione e, in ossequio alla Real Casa d'Epiro, ha deciso di cederne in perpetuo al Gran Principe ed ai Suoi Augusti Successori il Gran Magistero; i due ordini hanno diversi statuti e differenti decorazioni.

mercoledì 16 settembre 2009

Erezione di una Eparchia ortodossa con giurisdizione sul Nordamerica


In data 25 Agosto 2009 il Gran Principe d'Epiro, nella sua veste di Alto Protettore della Santa Chiesa Ortodossa Autocefala d'Epiro, con apposito tomos, ha eretto l' Eparchia ortodossa degli Stati Uniti d'America e del Canada e l'ha affidata al cugino Protoiereo Kyrill. Monsignor Kyrill, già Vescovo ortodosso, per l'occasione, è stato elevato al rango di Arcivescovo Eparca. L' Eparchia fornirà i servizi liturgici principalmente agli esuli epiroti anche di terza e quarta generazione presenti nel Nord America, ma sarà aperta a tutti i fedeli ortodossi e svilupperà il dialogo ecumenico con la Santa Chiesa cattolica presente in America. Le liturgie saranno celebrate in lingua greca. Secondo la teologia bizantina il Sovrano, mediatore fra Dio e l' Uomo, come Alto Protettore della Chiesa, è di fatto il capo temporale della stessa, col potere di nominare e revocare i vescovi ed il suo nome viene ricordato durante la Divina liturgia quotidianamente.

La principessa madre è una affermata poetessa

La madre del Serenissimo Principe, Donna Giuseppina, è un' affermata poetessa. Nel Giugno 2002 ha pubblicato presso la casa editrice NAME di Genova la silloge poetica "Viale d'autunno". Nelle poesie della raccolta si va da echi del Decadentismo a componimenti che rimandano alla Scapigliatura; non mancano pure riferimenti estetici al poeta e sacerdote pavese Cesare Angelini, che fu amico di Prezzolini. Nella raccolta è stato pubblicato il testo "Il mattino" con cui Donna Giuseppina conseguì a Roma, nel Dicembre 2001, il Diploma d'Onore del Premio Internazionale Lev Tolstoj. Nella primavera del 2009 una copia della raccolta è stata consegnata al presidente Napolitano al Quirinale.

lunedì 14 settembre 2009

Cenni storici del Casato La Torre


A riguardo alla nobile famiglia della Principessa d'Epiro, A. Mango di Casalgeraldo, Nobiliario di Sicilia, Palermo 1912-1915, scrisse “Si vuole originaria di Francia; passata prima in Milano di cui tenne il governo e poi in Sicilia nella fine del secolo XIV. Un Giovanni ottenne, nel 1400, concessione di una vigna in Castronovo e forse egli stesso fu castellano della città di Girgenti nel 1422; un Parisio fu capitano di giustizia in Caltagirone negli anni 1462-63 e 1468-69; un Bartolomeo fu senatore in Catania negli anni 1506-7, 1511-12, 1522-23, 1526-27, 1535-36 e deputato del regno nel 1511; un Federico e un Giacomo, da Mazzara, con privilegio dato a 12 febbraio 1518 esecutoriato a 26 aprile 1519, ottennero concessione del titolo di regio cavaliere; un Francesco fu capitano di giustizia di Mazzara nell’anno 1534-35; un Antonino tenne la stessa carica in detta città nel 1537; un Francesco fu giurato di Caltagirone nel 1627-28, capitano di giustizia negli anni 1631-32-33-34 e 1634-35, 1645-46; un Antonio fu governatore del Monte di Pietà in Palermo nel 1637-38; un Carlo, con privilegio dato a 22 febbraio 1644, ottenne concessione del titolo di barone del Grano; un Alessandro fu senatore di Catania nell’anno 1646-47, un Francesco de la Torre Inguanti Statella e Platamone (lo stesso del precedente?), con privilegio dato a 19 agosto esecutoriato a 22 dicembre 1664, ottenne concessione del titolo di principe della Terra e Torre di Sant’Agata; un Orazio, figlio del precedente, fu giudice della Gran Corte del Regno negli anni 1647-48-49, 1654-55, 1656-57, avvocato fiscale del tribunale del Real Patrimonio nel 1660, presidente del Concistoro nel 1665, presidente della Gran Corte nel 1669, reggente il supremo consiglio d’Italia in Madrid, luogotenente di maestro giustiziere nel 1670, deputato del regno nel 1671, cavaliere dell’ordine di Alcantara, governatore di Milano nell’anno 1671, maestro razionale di cappa corta del Real Patrimonio, presidente del Concistoro nel 1673, ecc. e acquistò nell’anno 1669 la terra di Tusa; un Alessandro, principe della Torre, fu maestro razionale di cappa corta del tribunale del Real Patrimonio nell’anno 1689, un Orazio la Torre e Benzo fu deputato del regno nel 1790 e vescovo di Mazzara nel 1792; un Giulio la Torre e Benzo, principe della Torre, fu governatore del Monte di Pietà di Palermo nel 1785-86, senatore nell’anno 1790-91; un Giuseppe la Torre e Scoma, cavaliere dell’ordine Costantiniano, fu colonnello di fanteria, brigadiere e ispettore degli eserciti, governatore della città di Siracusa, e morì nel 1799”. L’arma è d’azzurro, alla torre d’argento accostata da due leoni affrontati e controrampanti d’oro, sormontata da tre gigli dello stesso ordinati in fascia, col capo d’oro caricato dall’aquila bicipite spiegata di nero. Il padre di Donna Patrizia, Lorenzo, nato a Caltanissetta il 9 Febbraio 1932, appartenente a detta famiglia, si dilettò di archeologia, di studi storici e, negli anni Cinquanta del Novecento, fu fra i fondatori del Museo di Caltanissetta. Il 9 Febbraio 1969 Saverio I di Borbone, pretendente carlista al trono di Spagna, per premiarne l’impegno culturale e sociale, lo nominò Barone del Grano stabilendo nell'atto di concessione, come segno di particolare favore, che la successione nel titolo potesse avvenire in favore di tutti i discendenti, maschi e femmine e gli confermò lo stemma in precedenza descritto, cimato di corona baronale.

Anniversario di Matrimonio

Il 21 Settembre prossimo ricorrerà il settimo anniversario delle nozze del Gran Principe d'Epiro con la Baronessa Patrizia La Torre. Nelle chiese della Santa Chiesa ortodossa d' Epiro l'evento verrà ricordato in modo solenne; alle nozze, celebrate in rito cattolico dal Rettore emerito del Collegio Universitario Castiglioni di Pavia nel 2002, assistito da due Monsignori, presenziò un Metropolita orientale che benedisse gli sposi anche secondo il rito greco-ortodosso. Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II si degnò di inviare ai nobili coniugi la benedizione papale, presenziarono delegati di numerosi ordini cavallereschi e della Real Casa d'Afghanistan. Inviarono telegrammi beneauguranti la Real Casa d'Egitto, l' Imperial Casa di Russia, la Real Casa del Portogallo, svolsero le mansioni di cerimonieri il Cavalier Sergio Baroni dell' ordine teutonico ed il Commendator Felice delli Antoni che, in gioventù, ricevette la commenda dell' ordine della Corona d'Italia da Sua Maestà il Re Umberto II.

Aggiunta del cognome Materno

Con decreto dell' 11 Maggio 2009 il Ministero degli Interni della Repubblica Italiana ha concesso a Don Davide Pozzi di Santa Sofia di aggiungersi il cognome materno Sacchi cosicchè il Serenissimo Principe si chiama ora Don Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia; la concessione del cognome materno è stata preceduta da una istruttoria, il cui originale è depositato presso il Ministero in questione, in tale istruttoria si legge: " Il dott. Pozzi Davide...omissis...è figlio di Donna Giuseppina Sacchi. Donna Giuseppina Sacchi , oltre a distinguersi per la sua attività di poetessa e scrittrice... conosciuta ed apprezzata dagli amanti del settore, è indubbiamente persona di profonda sensibilità d’animo anche perchè si dedica, da sempre, al benessere dei più deboli. L’animo caritatevole della sig.ra Sacchi è testimoniato anche dai ringraziamenti ufficiali di Sua Eccellenza Monsignor Domenico D’Ambrosio, Vescovo di San Giovani Rotondo, che, in numerose lettere a lei dirette, si dichiara addirittura commosso per la grande generosità con la quale stabilmente nel tempo la stessa ha manifestato concretamente la sua attenzione ai più bisognosi e sofferenti.Gli esponenti della famiglia Sacchi si sono messi in luce per eroismo e prodezza in diverse epoche storiche: la sig.ra Giuseppina Sacchi è... unica figlia di Alberto Sacchi, patriota e combattente della seconda guerra mondiale, nonno quindi del ricorrente, valoroso soldato, amante della Patria, che si è distinto per aver coraggiosamente liberato numerosi prigionieri slavi nelle tragiche circostanze dell’ 8 settembre 1943, salvandoli dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti e da morte certa. La sua audacia gli valse La “Médaille en memorial” per gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale, da parte della Società Internazionale des Prisonniers, Déportèés, Internés... La Contessa Giuseppina Antonietta Sacchi di Lisio, nata a Castel San Giovanni, vivente, discende dal’ antichissima e nobile famiglia Sacchi che trae le proprie origini dal Cherasco e di essa esistono diverse diramazioni; tale famiglia è censita nell’ Enciclopedia Storico - Nobiliare Italiana di Vittorio Spreti e nell’ Elenco Nobiliare Italiano, nonché in vari altri nobiliari. A tale nobile famiglia appartenne anche San Gandolfo Sacchi, nato a Binasco (PV) verso il 1200 e deceduto a Polizzi Generosa, in Sicilia, città di cui è divenuto il patrono, nel 1260. Citeremo, fra gli esponenti del Casato, Gaspare di Enrietto, che venne investito del feudo di Lisio il 30 Maggio 1711 ed ottenne il titolo Signorile il 22 Giugno 1737 e Giovanni, di Gaspare, che fu creato Conte il 5 Dicembre 1768. Ad un ramo pavese della famiglia appartenne Gaetano Sacchi, nato a Pavia nel 1824 e morto a Roma nel 1886, che fu fervido ammiratore e fedele seguace di Garibaldi, che seguì come volontario in Uruguay. Egli fu capitano all’assedio di Montevideo e si distinse in molte battaglie; fu anche Generale di Corpo D’Armata nel 1877 e Senatore del Regno nel 1876. Il bisnonno di Donna Giuseppina fu combattente nelle guerre di indipendenza ed il di lei padre Alberto prese parte alla Seconda Guerra Mondiale. Essendosi estinto il ramo principale dei Sacchi, Conti di Lisio, S.M. il Re Umberto II, con Patenti nobiliari dall’ esilio di Casçais, il 15 Aprile 1963, rinnovò il titolo trasmissibile, per via ereditaria, di Conte di Lisio, a favore di Alberto Sacchi, padre di Donna Giuseppina. Alberto, valoroso soldato, amante della Patria, si era infatti distinto per aver coraggiosamente liberato numerosi prigionieri slavi nelle tragiche circostanze dell’ 8 Settembre 1943, salvandoli dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti e da morte certa ed il Re, venuto, anni dopo, a conoscenza di tale atto, volle così premiarlo.Donna Giuseppina è inoltre Duchessa d’Epiro con il trattamento di Altezza Serenissima per concessione di S.A.R. il Principe Alessandro d'Epiro, nipote della Regina Geraldina d'Albania e il 29 Ottobre 2003 il Santo Sinodo della S.Chiesa Ortodossa d'Albania ed Epiro in esilio le ha attribuito il rango di Principessa di Nicopoli. Ella è inoltre membro, dal 25 Luglio 2001, della Fraternità del Beato Gerardo, associazione umanitaria sudafricana dello S.M.O.M. ed è insignita di diversi ordini cavallereschi. Inoltre, il 21 Dicembre 2002, l’Associazione italiana combattenti interalleati, sezione provinciale di Bolzano, le ha conferito la qualifica di socio benemerito ed il premio “Il bersagliere d’Italia” con la seguente motivazione: ”Donna di eccelse virtù, dedita costantemente alla carità ed al sostegno dei combattenti e delle loro famiglie, discendente diretta di una nobile ed illustre famiglia di Patrioti italiani che contribuì decisamente alla vita del Risorgimento, ha sempre dimostrato particolare attenzione alle esigenze degli anziani combattenti e dei sodalizi combattentistici italiani ed europei”. Lo stemma utilizzato da Donna Giuseppina, come stabilito nella concessione di S.M. il Re Umberto II al di lei padre, è quello dei Conti di Lisio: d’oro a tre bande di rosso, con il sacco d’argento, legato; con il capo d'oro caricato di un'aquila coronata, di nero.

venerdì 11 settembre 2009

Sant'Eleuterio di Nicopoli, un Santo Epirota



Sant' Eleuterio Papa e martire



m. 189


(Papa dal 175 al 189)Greco. Nato a Nicopoli nell'Epiro, fu papa dal 175 al 189. Dopo il martirio probabilmente fu sepolto in Vaticano, vicino al corpo di san Pietro. Il suo pontificato fu segnato da movimenti ereticali che giunsero fino a Roma. Tra di essi il montanismo, che sosteneva l'imminente fine del mondo accanto a un forte rigore morale. Eleuterio fu tollerante per evitare una scissione fra i cristiani. Invece contro i marcioniti, che ammettevano tre principi e tre battesimi, e gli gnostici emanò un decreto nel quale, tra l'altro, si autorizzavano i cristiani a cibarsi con qualsiasi alimento e superare così la distinzione tra cibi puri ed impuri. Sembra inoltre che con un altro suo decreto ordinò che il giorno di Pasqua si celebrasse di domenica. Il Martirologio Romano di lui riporta: «A Roma sant'Eleuterio, papa e martire, il quale convertì alla fede di Cristo molti nobili romani, e mandò nella Gran Bretagna Damiano e Fugazio, i quali battezzarono il Re Lucio, insieme a sua moglie e a quasi tutto il popolo». (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Sempre a Roma, sant’Eleuterio, papa, al quale i celebri martiri di Lione, a quel tempo detenuti in prigione, scrissero una nobile lettera sul mantenimento della pace nella Chiesa.

S. Eleuterio, di Nicopoli (Epiro), martire (?), fu probabilmente sepolto in Vaticano, vicino al corpo di S.Pietro. Menzionata unicamente da fonti agiografiche tarde (sec. VIII), la sua incerta biografia si basa principalmente sul Liber Pontificalis. Il suo episcopato fu segnato da movimenti ereticali che giunsero fino a Roma: il montanismo che sosteneva l’imminente fine del mondo, l’esagerato rigore di condotta morale e la prerogativa di profetizzazione. Eleuterio fu tollerante per evitare una dolorosa scissione fra i cristiani. Invece contro i marcioniti, che ammettevano tre principi (buono, giusto e cattivo) e tre battesimi, e gli gnostici, seguaci di Pitagora e Platone, emanò un decreto nel quale, tra l’altro, si autorizzavano i cristiani a cibarsi con qualsiasi alimento e superare così ogni eretica distinzione tra cibi puri ed impuri. Con un altro suo decreto, si reputa, ordinò che il giorno di Pasqua si celebrasse di domenica.``Secondo il Liber Pontificalis, che non accenna minimamente al suo martirio, fu in rapporto con Lucio, re dei Britanni. La sua festa si celebra il 26 maggio ed è così menzionato nel Martirologio Romano: A Roma sant’Eleuterio, papa e martire, il quale convertì alla fede di Cristo molti nobili romani, e mandò nella Gran Bretagna Damiano e Fugazio, i quali battezzarono il Re Lucio, insieme a sua moglie e a quasi tutto il popolo. Nell’arte S.Eleuterio viene raffigurato o con gli abiti pontificali e un libro nella mano sinistra o con abiti pontificali e una grande tonsura.


Fonte: www.santiebeati.it

giovedì 10 settembre 2009

San Giorgio Martire, Patrono dell'Ordine



San Giorgio Martire
23 aprile - Memoria Facoltativa
sec. IV
Giorgio, il cui sepolcro è a Lidda (Lod) presso Tel Aviv in Israele, venne onorato, almeno dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa. La tradizione popolare lo raffigura come il cavaliere che affronta il drago, simbolo della fede intrepida che trionfa sulla forza del maligno. La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. (Mess. Rom.)


Patronato:Arcieri, Cavalieri, Soldati, Malati di sifilide, Esploratori/Guide AGESCI


Etimologia: Giorgio = che lavora la terra, dal greco


Emblema: Drago, Palma, Stendardo

SOMMARIO:
I. FONTI
L'antichità e la diffusione del culto di Giorgio, ampiamente testimoniati da documenti letterari e monumenti archeologici, non hanno adeguata corrispondenza nelle notizie biografiche del santo, anzi, la passio Georgii è classificata tra le opere apocrife dal Decretum gelasianum (496). E' pertanto necessario rifarsi a testimonianze estranee alla passio per essere accertati della sua esistenza e di alcuni dati biografici essenziali.
A Lydda (Diospoli), in Palestina, era venerato il suo sepolcro, come risulta da Teodosio Perigeta (ca. 530; De situ terrae sanctae, in CSEL, XXXIX, Vienna 1898, p. 139: «in Diospolim, ubi sanctus Georgius martyrizatus est, ibi et corpus eius est et multa mirabilia fiunt»); da Antonino da Piacenza (ca. 570; Itinerarium, ibid., p. 176) e da Adamnano (ca 670; De Locis sanctis, III, 4, ibid., pp. 288-94).
I resti archeologici della basilica cimiteriale ancor oggi visibili (D. Baldi, Guida di Terra Santa, Gerusalemme 1953, pp. 332-33) sono da alcuni attribuiti ad una costruzione costantiniana, comunque molto vicina alla data della morte del martire. Inoltre, un'epigrafe greca, rinvenuta in Eaccaea di Batanea e datata dal Delehaye al 368, parla di una «casa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni», o chiesa, dedicata al santo qualche decennio dopo la sua morte.
Oltre questi pochi elementi non c'è che la passio leggendaria di cui la più antica redazione è contenuta nel palinsesto greco 954 della Biblioteca Nazionale di Vienna, dal Detlefsen pubblicata nel 1858 e da lui datata agli inizi del sec. V, che è forse la stessa elencata nel citato Decretum gelasianum.
I documenti posteriori - nuove redazioni della passio e altri racconti - se offrono notizie intorno al culto, sotto l'aspetto agiografico non fanno che complicare fino all'inverosimile la leggenda che solo tardivamente si abbellisce dell'episodio del drago e della fanciulla salvata dal santo.
Le molte passiones prima greche, poi, dal periodo delle Crociate latine, offrono sempre nuove notizie sulla vita del santo: conceptio, nativitas, vita, miracula, martyrium. Ad esse fanno eco homeliae, laudationes e sermones (elenchi in BHG, I, pp. 212-23, nn. 669y-691y, ed in BHL, I, pp. 502507, nn. 3363-406; Suppl., pp. 143-46, nn. 3363-404) a cui sono da aggiungere testi ritrovati e pubblicati successivamente, ad es. Miracula s. Georgii (ed. I. B. Aufhauser, Lipsia 1913), la passio in due codd. dell'Ambrosiana (secc. XI e XII, ed. A. Saba, in Aevum, VII [1933], pp. 3-22 e gli Acta s. Georgii contenuti nell'interessante cod. papiraceo greco del sec. VII-VIII (L. Casson - E. L. Hettich, Excavations at Nessana, II, Literary papyri, Princeton 1950, pp. 123-42).
Una redazione della passio, tra le più antiche, che ebbe grande fortuna è quella contenuta nel cod. Vat. Gr. 1660, del 916, tradotta in latino dal Lippomano, da cui dipendono il panegirico di Andrea di Creta (m. 767) ed il Menologio di Metafraste (ca. 964). Altre redazioni parallele o dipendenti, secondo gli autori citati dal Delehaye (p. 45), furono raccolte e studiate da K. Krumbacher e A. Ehrhard nel 1911. Materiale notevole venne pubblicato fin dal 1675 negli Acta SS.
Oltre che in latino, la passio fu tradotta in copto, armeno, etiopico, arabo, per l'uso liturgico che allora si faceva delle Vitae dei santi.
II. VITA
Secondo la «prima» leggenda e i successivi ampliamenti, fin dalla concezione Giorgio è predestinato a grandi cose; la sua nascita porta grande gioia ai genitori Geronzio, persiano, e Policronia, cappadoce, che lo educano religiosamente fino al momento in cui entra nel servizio militare.
Il martirio avviene sotto Daciano imperatore dei Persiani (che però in molte recensioni è sostituito da Diocleziano, imperatore dei Romani) il quale convoca settantadue re per decidere le misure da prendere contro i cristiani. Giorgio di Cappadocia, ufficiale delle milizie, distribuisce i beni ai poveri, e, davanti alla corte, si confessa cristiano; all'invito dell'imperatore di sacrificare agli dei si rifiuta ed iniziano le numerose e spettacolari scene-di martirio. Giorgio viene battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ha una visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione. Quindi ha la meglio sul mago Atanasio che si converte e viene martirizzato; tagliato in due con una ruota irta di chiodi e spade, Giorgio risuscita convertendo il magister militum Anatolio e tutte le sue schiere che vengono passate a fil di spada. A richiesta del re Tranquillino risuscita diciassette persone morte da quattrocentosessant'anni, le battezza e la fa sparire; entra in un tempio pagano e con un alito abbatte gli idoli. L'imperatrice Alessandra si converte e viene martirizzata; l'imperatore lo condanna nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implora da Dio che l'imperatore ed i settantadue re siano inceneriti; esaudita la sua preghiera si lascia decapitare promettendo protezione a chi onorerà le sue reliquie.
La leggenda della fanciulla liberata dal drago per opera di Giorgio sorse successivamente: sembra che il racconto di tale episodio sia nato, al tempo dei Crociati, dalla falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore Costantino che si trovava allora a Costantinopoli, cosí descritta da Eusebio (Vita Constantini, III, 3, in PG, XX, col. 1058) «salutare signum capiti suo superpositum imperator draconem (inimicum generis humani) telis per medium ventris confixum sub suis pedibus... depingi voluit», e dal XVII panegirico di s. Giorgio, recitato da s. Andrea di Creta (ihíd., XCVII, col. 1189): « Benedictus Dominus qui non dedit nos in praedam dentibus eorum » (Ps. 123, 6).
La fantasia popolare ricamò sopra tutto ciò, ed il racconto, passando per l'Egitto, dove Giorgio ebbe dedicate molte chiese e monasteri, divenne una leggenda affascinante la cui diffusione fu probabilmente facilitata anche da una scena (di cui un esemplare si trova ora al Louvre), raffigurante il dio Horu, purificatore del Nilo, cavaliere dalla testa di falco, in uniforme romana, in atto di trafiggere un coccodrillo tra le zampe del cavallo.
Circa il nome, questo Giorgio non è da confondere con altri omonimi, né con i vari Gregorio, e l'etimologia del termine (= agricoltore) ha dato luogo ad originali commenti dell'analogo brano evangelico (Io. 15, 1-7). Inoltre, la qualità dei supplizi richiama la leggenda greca di Perseo e di Andromeda, e la celebre storia del drago, senza il quale non possiamo immaginare la figura di s. Giorgio, si legge con tutti i suoi particolari nel Martirio di s. Teodoro (Anal. Boll., II [1883], pp. 359 sgg.; cf. anche: I martiri di s. Teodoro e di s. Ariadne, in Franchi de' Cavalieri, 6, p. 92, n. 5).
Circa l'anno del martirio, il Ruinart, seguendo il Chronicon alexandrinum seu paschale (PG, XCVI, col. 680), fissa il 284; altri il 249-51; altri ancora, interpretando come Diocleziano il nome di Daciano, lo pongono al 303. Perché poi nella redazione più antica della passio, Diocleziano sia diventato Daziano, sembra da spiegare per la triste rinomanza acquistata da un governatore romano della Spagna nell'epoca dioclezianea, di nome appunto Daziano, tanto feroce contro i cristiani da esser chiamato il «drago degli abissi». I1 nome tra il IV e il V sec. si diffuse in Oriente, tanto che fu poi portato da vari sovrani della Georgia. L'attribuzione, pertanto, del martirio di Giorgio al tempo di Diocleziano sembra la più probabile.
La sua professione di militare potrebbe derivare da una identificazione con il tribuno che strappò l'editto di Galerio contro i cristiani in Nicomedia, secondo quanto è narrato da Eusebio (Hist. eccl., VIII, 5, in PG, XX, coll. 749-52); ma la localizzazione del culto in Lydda rende improbabile tale identificazione.
III. CULTO
Forse nessun santo ha riscosso tanta venerazione popolare quanto s. Giorgio e a testimonianza di ciò sono le innumerevoli chiese dedicate al suo nome.
A Gerusalemme esisteva nel sec. VI un monastero con chiesa a lui dedicata, come attesta un'epigrafe coeva (J. Perrot, in Syria, XXVII [1950], pp. 194-96); a Bisanzio, come abbiamo visto, era venerato nell'orfanotrofio.
A Gerico fu dedicato a s. Giorgio nel sec. VI un monastero (P. Abel, in Revue Biblique, VIII [1911], pp. 286-89).
A Zorava, nella Traconitide, un'iscrizione del 515 narra l'apparizione di s. Giorgio a Giovanni figlio di Diomede (Delehaye, Origines, p. 86).
A Beiruth il santo riscosse grande venerazione specialmente dopo la vittoria dei Crociati (C. Astruc, Saint Georges à Beyrouth, in Anal. Boll., LXXVII [1959], pp. 54-62) e nell'Iraq numerose erano le chiese a lui dedicate (J.-M. Fiey, Mossoul chrétienne, Beiruth 1959, p. 105).
Grande venerazione riscosse Giorgio in Etiopia, dove la conoscenza delle sue gesta giunse attraverso l'Egitto, ed in Georgia, paese di cui fu ritenuto oriundo (V. Arras, Miraculorum s. Gregorii megalomartyris collectio altera, in CSChO, CXXXVIII-XXXIX, Script. aeth., 31-32, Lovanio 1953; id., La Collection éthiopienne des miracles de s. Georges, in Atti del Convegno internazionale di. Studi Etiopici..., Acc. Naz. dei Lincei, quad. 48, Roma 1960, pp. 273-84).
A Magonza, secondo le testimonianze di Venanzio Fortunato, il quale in cinque distici celebra le gesta del martire orientale, largamente venerato sub occiduo cardine, gli era stata dedicata una basilica a metà del sec. VI (Carm., II, 16, in PL, LXXXVIII, col. 107) ed a Bamberga, Enrico II fondò una chiesa in suo onore.
Anche in Italia il culto a s. Giorgio fu assai diffuso. A Roma, Belisario (ca. 527) affidò alla protezione del santo la porta di S. Sebastiano e ai due santi insieme è dedicata la chiesa del Velabro, dove venne trasferito il cranio di Giorgio trovato nel patriarchio lateranense da papa Zaccaria (Lib. pont., I, p. 434).
A Ravenna fin dal sec. VI esisteva una chiesa a lui dedicata nel campo «Coriandro», presso il sepolcro di Teodorico, come ci attesta la biografia del vescovo Agnello (m. 570): "similiter et ecclesiam beati Georgii reconciliavit temporibus Basilii juniores" (Codex pontificalis Ecclesiae Ravennatis, in RIS, II, 3, p. 217; cf. anche p. 118). Altra chiesa dedicata al santo, S. Georgii de porticibus, si trovava nella Regio Caesarum. Dalla capitale bizantina il culto si estese ben presto a Ferrara (ca. 657) dove fu scelto quale patrono della città primitiva ed in seguito della nuova, dopo la traslazione di reliquie nella nuova cattedrale (1110-35).
A Cornate (Milano) il re Cuniberto (678-688) dedicava una chiesa a s. Giorgio (C. Marcora, Il messale di Civate, Civate 1958, p. 38) e a Napoli, agli inizi del sec. V, il vescovo Severo fondava la basilica di S. Giorgio Maggiore (Mallardo, p. 577). Nei paesi bizantini fu venerato, unito a s. Demetrio, con l'appellativo di «Dioscuri cristiani» (cf. A. Stylianon, The pointed churches of Cyprus, Cipro 1964, p. 145, fig. 68).
Agli inizi del sec. VI Clodoveo, re dei Franchi, dedicò un monastero al santo e s. Germano di Parigi (m. 576) ne diffuse il culto.
In Inghilterra, la fama del martire palestinese era già ampiamente diffusa sin dall'epoca anglosassone, ma il suo culto assunse ancora maggiore sviluppo dopo la conquista normanna (sec. XI) quando in tutto il paese gli furono dedicate numerose chiese.
Le invasioni musulmane, interrompendo il flusso dei pellegrinaggi verso l'Oriente, parvero far decadere il culto di Giorgio; ma le Crociate ne segnano una nuova fase ed esso si riaccende con maggiore intensità quando i Crociati furono da lui assistiti mentre stavano per essere sconfitti dai Saraceni ad Antiochia nel 1089. Conquistata Giaffa e la vicina Lydda i Crociati ricostruirono la basilica cimiteriale incendiata dal califfo Hakõm ottant'anni prima. E' di questo periodo la diffusione in Occidente dell'episodio della fanciulla liberata dal dragone per intervento di Giorgio. Tale racconto, accreditato da Giacomo di Varazze nella Legenda aurea, non si trova, ovviamente, nelle fonti più antiche.
Per tutto il Medio Evo, si rinsalda in Inghilterra il culto già nel passato tributato a Giorgio; Riccardo I durante la III Crociata disse di aver visto il santo con lucente armatura guidare le truppe cristiane alla vittoria; al tempo di Enrico III, la festa di Giorgio fu considerata festa d'obbligo; Edoardo III introdusse il famoso grido di battaglia St. George for England, e fondò nel 1348 l'Ordine di S. Giorgio, detto «della Giarrettiera»; al tempo di Enrico V l'arcivescovo di Ganterbury prescriveva per la festa del santo la stessa solennità del Natale. Ancora oggi gli Anglicani hanno conservato il nome di Giorgio nel loro calendario e la rossa croce di S. Giorgio in campo bianco campeggia sulla bandiera inglese.
I paesi che hanno il santo martire palestinese come patrono sono innumerevoli: prime fra tutte le città marinare di Genova, Venezia e Barcellona da cui, coi Crociati, partivano i commercianti per l'Oriente. Tra i molti Ordini religiosi e cavallereschi, oltre ai Benedettini a lui devoti, ricordiamo l'Ordine Teutonico, il già citato «Ordine della Giarrettiera», l'Ordine militare di Calatrava di Aragona, a cui Bonifacio IX concesse di portare in guerra vexilla sancti Georgii (Reg. Aven. 305, f. 289v.), ed il "Sacro militare Ord. Costantiniano di S. Giorgio", la cui fondazione, senza peraltro solide basi storiche, è da alcuni attribuita a Costantino e da altri ad Angelo Comneno nel 1190. Nel 1690, Andrea Flavio, l'ultimo dei Comneni, cedette i suoi diritti a Gianfrancesco Farnese duca di Parma, che, a sua volta, li cedette all'Infante di Spagna divenuto re di Napoli, il quale diede all'Ordine il nome attuale, oltre che una nuova costituzione. Gli ultimi statuti risalgono al 1934; l'Ordine è riconosciuto dalla S. Sede. L'insegna è una croce gigliata, smaltata di porpora, con al centro il monogramma; negli angoli della croce le lettere I H S V (in hoc signo vinces).
Giorgio è inoltre protettore, con s. Sebastiano e s. Maurizio, dei cavalieri e dei soldati, degli arcieri e degli alabardieri, degli armaioli, dei piumaroli (elmo) e dei sellai; infine era invocato contro i serpenti velenosi, contro la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe.
La celebrazione liturgica
I calendari orientali riportano la commemorazione di Giorgio al 23 aprile recensendone le gesta secondo le passiones conosciute (J. M. Fiey, Le Sanctoral syrien oriental d'après les Evangéliaires et Bréviaires du XI au XIII siècle, in L'Orient syrien, VIII [1963], p. 37), alla stessa data lo commemora il Calendario marmoreo di Napoli del sec. IX, di spiccata influenza bizantina (D. Mallardo, Il Calendario marmoreo di Napoli, in Ephemerides liturgicae, XVIII [1947], pp. 149-50).
Anche i calendari delle Chiese occidentali fissano la commemorazione anniversaria del martirio di s. Giorgio al 23 aprile (W. H. Frere, Studies in early Roman Liturgy [ = Alcuin club collections, XXVIII], Oxford 1930, pp. 100-101; v. anche P. Perdrizet, Le calendrier parisien à la in du moyen-age, Parigi 1933, pp. 123-24; cf. p. 149) e solo le chiese dell'Italia settentrionale riportano la celebrazione al giorno seguente (24), come si ha da un calendario modenese del sec. XI (ed. B. Bacchini, in Rerum ital. script., II [1718], p. 145), dai Messali e Breviari ferraresi e dall'uso milanese che forse ha influenzato le diocesi dell'Emilia altra volta sue suffraganee (E. Cattaneo, L'evoluzione delle feste di precetto dal sec. XIV al XX, Milano 1956, pp. 74, 136, per gli anni 1396 e 1498; per Pavia cf.: L. Valle, Le reliquie di s. Giorgio, Pavia 1903, p. 15, n. 1). Nel Martirologio Geronimiano figura al 15, 23, 24, 25 apr. e al 7 maggio, ma solo in codd. tardivi.
Il Sacramentario Leoniano del V sec. (ed. L. C. Mohlberg, p. 16) contiene i testi della Messa di s. Giorgio martire e non di s. Gregorio (Frere, loc. cit.) che venivano letti nella stazione che si teneva al Velabro "eius passio contulit hodiernum in tua virtute conventum"; mentre il più tardivo (secc. VII-VIII) Sacramentario Gregoriano (ed. H. A. Wilson, p. 27) sembra essere influenzato dalle fantastiche passiones (diversa supplicia sustinuit) cosí come gli antichi testi liturgici «propri», mentre l'orazione del Messale attuale era già in uso nei Sacramentari e Messali latini dal sec. IX (P. Bruylants, Les oraisons du Missel romain, II, in Etudes liturgiques, I, Lovanio 1952, n. 401).
I1 sinodo provinciale di Colonia del 1308 (Kellner, p. 22) elencava la festa di s. Giorgio tra quelle di precetto ed il De Officiis palatii di Giorgio Codino indicava il giorno di s. Giorgio tra quelli in cui l'imperatore, al tempo dei Paleologi, partecipava solennemente alle celebrazioni religiose in Costantinopoli (ed. J. Goar, Bonn 1839, p. 81; cf. anche indice).
Fino a qualche decennio fa la festa di Giorgio era di precetto in diverse diocesi di cui era patrono (ad es. Ferrara, Gnesen), ma, mutate condizioni sociali, suggerirono la soppressione del precetto religioso, mentre ultimamente la S. Congregazione dei Riti ha ridotto di grado (e non soppressa come erroneamente fu scritto) tale festa per mancanza di notizie biografiche sicure da inserire nella liturgia (AAS, LII [1960], pp. 690, 706).
Reliquie
Grande venerazione riscosse il sepolcro del martire e le sue reliquie furono trasferite probabilmente durante l'invasione persiana all'inizio del sec. VII o poco dopo, all'arrivo dei musulmani.
S. Gregorio, vescovo di Tours (m. 594), nell'opera Miracolorum liber, I, CI (ed. T. Ruinart, in PL, LXXI, coll. 792-93) ricorda la traslazione di reliquie a Limoges ed a Le Mans. A Roma il cranio del martire riscosse venerazione nella basilica di S. Giorgio in Velabro fin dal sec. VIII; nel 1600 ne fu trasferita una parte a Ferrara. Nell'852 Pietro della Marca spagnola ricorda la traslazione in Spagna di reliquie di s. Giorgio e di s. Aurelio (Marca Hispanica, Parigi 1688, col. 357). I1 conte Roberto di Fiandra, nel 1110 portò a Ferrara un braccio di s. Giorgio, donandolo alla contessa Matilde la quale, a sua volta, lo donò alla nuova cattedrale della città che venne dedicata al santo nel 1135, come ci attesta la prima iscrizione poetica italiana (G. Bertoni, La fondazione della cattedrale di Ferrara e l'iscrizione del 1135, in La cattedrale di Ferrara, Verona 1937, pp. 129-37; v. anche: G. Pistarino, Le iscrizioni ferraresi del 1135, in Studi medievali, sez. III, V, Spoleto 1964, pp. 66-160):
«Il mille cento trenta cenque natofo questo templo a san Giorgio donatoda Glielmo ciptadin per so amoreet ne fo l'opra Nicolao scolptore».
La stessa reliquia, nel 1388, fu racchiusa dal vescovo Marcapesi in un artistico reliquiario d'argento (M. A. Guarini, Compendio historico delle chiese di Ferrara, Ferrara 1621, pp. 14-15). Nel 1462, al tempo dell'abate di S. Giorgio Maggiore, Teofilo Beacqui da Milano, con grande pompa un altro braccio di Giorgio fu accolto a Venezia (G. Damerini, L'isola e il cenobio di S. Giorgio Maggiore, Venezia 1956, pp. 95 sgg., 136).
IV. FOLKLORE
La leggenda di Giorgio, patrimonio della cultura religiosa popolare, ebbe nuovo impulso e più ampia diffusione con la Legenda aurea di Giacomo da Varazze (m. 1395). Una Istoria di santo Giorgio cavaliero si trova nel ms. italiano Canonici 58 della Biblioteca Bodleiana di Oxford, (ed. A. Mortara, Oxford 1864, p.58; cf. pp. 204, 211) intitolato Libro dillettevole da legiere et da imparare a scrivere qual si contengono dieci instorie; questo testo, trascritto da Agostino di Cipriano verso la metà del sec. XVI, ebbe in seguito varie edd. a stampa.
Le leggende agiografiche e moraleggianti, come spesso accade, ispirarono la poesia religiosa e i canti popolari creando anche intorno a questo martire una letteratura che sembra gareggiare con quella dei cavalieri dei cicli brettone e carolingio. Il coraggio indomito nella professione della fede, la tutela generosa della giovane indifesa, l'uccisione del drago che seminava stragi umane furono motivi di esaltazione dell'eroica figura.
Nella tradizione islamica a Giorgio è dato il titolo di «profeta», ed il racconto delle sue gesta, risalente a Wahb ibn Munabbih (m. ca. 728-33), riproduce quasi alla lettera la versione siriaca della redazione più antica della leggenda, la quale, peraltro, «ignora l'aspetto guerriero della figura del santo e la localizzazione della sua battaglia contro il drago a Lydda o a Beryto, di cui, invece, la devozione popolare islamica ha conservato memoria fino ai nostri giorni» (G. Levi della Vida, cit. in bibl., p. 143).
Giorgio fa parte, inoltre, in Occidente, del gruppo dei santi Ausiliatori, cioè di quei santi la cui intercessione, secondo una tradizione popolare che si fa risalire al sec. XIV, è particolarmente efficace in determinate necessità.
Assai spesso, ed in tutte le epoche, Giorgio fu celebrato con panegirici e biografie romanzate: basti citare, fra gli scrittori più antichi Gregorio di Tours (m. 594) e Venanzio Fortunato (m. ca. 600), ricordando il panegirico di Andrea di Creta (m. 767), il sermone (sec. XI) del vescovo Zaccaria (B. Pez, Thesaurus anecdotorum novissimus, Vienna 1723, coll. 15-24) e quello (sec. XI) di s. Pier Damiani (PL, CXLIV, coll. 567-72; cf. anche coll. 145, 1032); il trovatore Wace (ca. 1170), Giacomo da Varazze (m. 1293) e Giacomo Stefaneschi (BHL, Suppl., n. 3401b) fissano l'immagine del santo nella sua leggendaria lotta col drago (cf. la scultura nella lunetta della porta maggiore del duomo di Ferrara, sec. XII-[XIII]) che sarà fonte d'ispirazione per l'arte figurativa dei secoli successivi.
Numerosi sono inoltre i «sacri misteri» che celebrano il martire; nel sec. XV era in grande voga il Ludus draconis, che venne in seguito imitato dai «giuochi» delle corti rinascimentali.
In Inghilterra numerose locande portano il nome di S. Giorgio, come ricorda anche Shakespeare in Re Giovanni (atto II, 288); una filastrocca recitata dai bambini dell'Inghilterra settentrionale canta s. Giorgio come cavaliere coraggioso (M. F. Bulley, St. George for Merrie England, Londra 1908, p. 30).
In Germania sono a lui dedicate molte acque ritenute miracolose; mentre nei paesi slavi si conservano consuetudini di origine pagana in riferimento all'inizio della primavera.
Da ultimo giova ricordare che l'epopea cavalleresca fiorita alla corte estense intorno all'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, simboleggia, probabilmente, nei due personaggi di Ruggero e Angelica, le figure di Giorgio e della principessa.
BIBLIOGRAFIA.: oltre alle opere citt. nel corso del testo, v.: Lippomano, Sanctorum priscorum patrum Vitae, Venezia 1559, pp. 100-104, 123-27; Acta SS. Aprilis, III, ibid. 1738, pp. 101-65, N. Nilles, Kalendarium manuale utriusque Ecclesiae, I, Innsbruck 1896, pp. 143-44; Synax. Constantinop., coll. 623-26, S. Borelli, II Megalomartire S. Giorgio, Napoli 1902 (si tratta di un tipico caso di «involuzione storica», e di assenza totale della critica storica più elementare, ma raccoglie un materiale immenso che può costituire una larga base per ulteriori indagini intorno alla diffusione del culto prestato a Giorgio; inoltre elenca tutti gli scrittori che si sono occupati del santo), H. Delehaye, Les légendes greques des saints militaires, Parigi 1909, pp. 45-76, K. Krumbacher - A. Ehrhard. Der heilige Georg in der griechischen Uberlieterung, Monaco 1911, BHL, Suppl., nn. 3363-401d, Comm. Martyr. Hieron. pp. 205-209; G. Antonucci, La leggenda di S. Giorgio e del drago, in Emporium, LXXVI (1932), pp. 79-89; Delehaye, Origines, passim; F. Cumont, Les plus anciennes légendes de saint Georges, in Revue de l'histoire des religions, CXIV (1936), estratto; Comm. Martyr. Rom., p. 132; Vies des Saints, IV, pp. 591-95, BHG, I, pp. 212-23 nn. 669v-691v; C. Giannelli, Epigrammi di Teodoro Prodromo in onore dei santi megalomartiri Teodoro, Giorgio e Demetrio, in Studi in onore di Luigi Castiglioni, Firenze 1960, pp. 333-71, O. Grosso, San Giorgio nell'arte e nel cuore dei popoli, Milano 1962; L. Santucci, Leggende cristiane, ibid. 1963, pp. 84-85 (riporta la Legenda aurea); P. Toschi, La leggenda di s. Giorgio nei canti popolari italiani, Firenze 1964, M. del Donno, Poesia popolare religiosa. Studi e testi di leggende agiografiche e moraleggianti del Sannio beneventano, in Biblioteca di « Lares » XIII, ibid. 1964, p. 76; G. Levi della Vida, Leggende agiografiche cristiane dell'Islam, in L'Oriente cristiano nella storia della civiltà, Roma 1964, p. 143.
Autore: Dante Balboni
V. ICONOGRAFIA
Sarebbe compito difficile, per non dire impossibile, elencare tutte le rappresentazioni relative alla leggenda di Giorgio, perché in questo cavaliere crociato, vincitore del drago, si assommano innumerevoli elementi che hanno radici nelle più antiche mitologie e che, dalle primitive tradizioni cristiane, traggono l'eterna suggestione del male combattuto e vinto e della fede testimoniata col martirio. Per questo appunto sono facili, nella iconografia di Giorgio, le contaminazioni con altri personaggi, sacri o storici, come, ad esempio il Santiago degli spagnoli (s. Giacomo il Maggiore), s. Maurizio, s. Martino e l'imperatore Costantino. Ciò, inoltre, spiega più che a sufficienza l'abbondanza dell'iconografia stessa, la quale, volta a volta rispecchia il culto tributato ininterrottamente in Oriente a Giorgio, la sua assunzione in Occidente a simbolo di intrepida virtù, l'ispirazione fornita all'arte e alle rappresentazioni popolari, nonché ai poemi cavallereschi.
Sebbene generalmente si affermi che nel sec. XVI, tramontando in Occidente il mito della cavalleria, il culto - e, quindi, l'iconografia - di Giorgio siano stati trasferiti essenzialmente in Oriente, dove avevano avuto origine, non vi è forse stato artista europeo che, dopo quella data, non abbia subito il fascino del tema eroico del guerriero di Dio in lotta con il mostro.
Prima di tentare quello che non potrà essere che un giro d'orizzonte sul complesso argomento della iconografia di Giorgio, occorre ricordare come la sua immagine, oltre che nelle raffigurazioni di schietta ispirazione religiose, divenne simbolo frequente negli stemmi, nei suggelli, nelle bandiere e negli stendardi di città e nazioni che ne riconobbero il patronato, di ordini cavallereschi e di associazioni d'arma o di mestiere. Tra le città ricorderemo Genova e Barcellona, non dimenticando Venezia che a Giorgio dedicò ben tre chiese.
Tra le nazioni si può notare tra tutte l'Inghilterra che fatto suo lo stendardo crociato di Giorgio, dedicandogli il patronato dell'Ordine della Giarrettiera, così come in Germania sono stati posti sotto la sua protezione gli appartenenti all'Ordine teutonico. Numerosissime sono poi le associazioni che in passato, e ancora al presente, hanno assunto come simbolo l'immagine di Giorgio, protettore dei cavalieri, degli armaioli, degli arceri, ecc.
Passando all'iconografia religiosa noteremo che molte raffigurazioni, tra le più antiche, rappresentano generalmente Giorgio isolato, a piedi e con il capo nudo dai lunghi e giovanili capelli. Gli attributi sono sempre la corazza, la spada, la lancia (che in certi casi appare spezzata), talvolta lo stendardo crociato. L'immagine del santo a cavallo fa, invece, il più delle volte, parte della scena della lotta contro il drago e compare con maggiore frequenza nelle opere d'arte che illustrano i cicli e i fatti della vita. Il cavallo è prevalentemente bianco.
Iniziando un elenco, più che altro - come si è detto - indicativo delle une e delle altre raffigurazioni, si possono citare numerose sculture: del sec. XIII il bassorilievo della porta di S. Giorgio a Firenze, la statua del portico della cattedrale di Chartres, del sec. XIV la statua nella torre della cattedrale di Friburgo e quella di legno dorato, custodita nel Museo di Digione. Eccelle fra tutte la statua sulla facciata di Orsammichele a Firenze, opera di Donatello (sec. XV), mentre al sec. XVI appartengono la statua sulla facciata di S. Giorgio Maggiore a Venezia e quella bronzea nell'interno della stessa chiesa, opera di Nicolò Roccatagliata (1593), e infine, sempre in detta chiesa, la pala lignea intagliata e colorita attribuita a Pietro da Salò (sec. XVI). Pure opera di Pietro da Salò è il rilievo sul portale di S. Giorgio degli Schiavoni, sempre a Venezia, dove Giorgio è anche presente in un bassorilievo della facciata di S. Marco. Restando ancora nel campo della scultura, ritroviamo la scena della lotta con il drago nei bassorilievi della tomba dei cardinali d'Amboise (1520) nella cattedrale di Rouen.
Passando alle opere pittoriche che arricchiscono l'iconografia di Giorgio, particolare attenzione meritano le innumerevoli figurazioni bizantine, che portano l'impronta della persistente vitalità della leggenda nei luoghi stessi dove essa ebbe origine. Gli affreschi nei conventi del Monte Athos e, in particolare, del Protaton, della laura Catholicon (in cui Giorgio appare con s. Demetrio), del Xenophon (in cui, cosa rara, il santo è cefaloforo) ci rimandano tutti una immagine presso a poco simile: un giovane guerriero dai capelli ricciuti, dalla corazza romana, con spada, lancia e scudo. Nella scena del martirio di s. Autonomos, del Dyonision Trapeza, Giorgio è raffigurato su un cavallo bianco. Ma le immagini piú caratteristiche e fantasiose ce le hanno date i pittori di icone. Nella pittura russa il santo ha un posto del tutto speciale: va ricordata in modo particolare quella icona della scuola di Novgorod (sec. XVI), che riassume in tutti i loro elementi le componenti della leggenda: Giorgio a cavallo contro il drago, la fanciulla in pericolo, il popolo affacciato alle torri della città, che attende l'esito della prova. Una scena simile è riproposta in una icona, ora nel Museo di Oradea (Romania), in cui compare, però, un altro giovane che cavalca sullo stesso destriero del santo, elemento che qualche volta si ritrova anche altrove. Ancora rappresentativi della iconografia orientale sono gli affreschi del Monastero di Staro Magoricino in Serbia (1318) e, infine, gli affreschi della chiesa di Sucevitza (Bucovina), del sec. XVII. In occidente la pittura ha dato un essenziale contributo alla iconografia di Giorgio e tra gli artisti, meritano il primo posto i pittori italiani Vogliamo ricordare tra i primi il dipinto attribuito dal Berenson a Paolo Ucello, ora nella National Gallery di Londra, per il suo carattere quasi surrealista, in cui all'enorme drago dalle grandi ali ocellate, fa contrasto una esilissima vergine e al massiccio cavallo bianco si oppone un Giorgio adolescente, con un volto quasi infantile. Nel 1462 il Mantegna in un dipinto, ora all'Accademia di Venezia, ha rappresentato il santo in armi, ma con la lancia spezzata e Cosmè Tura, nel 1469, lo ha egualmente raffigurato in una tempera, già portello d'organo, nella cattedrale di Ferrara. Nello stesso secolo il Correggio dipinse Giorgio accanto alla Vergine per la chiesa dei Domenicani di Modena (ora nella Galleria di Dresda), mentre Carlo Crivelli, in una formella della pala d'altare detta Madonna della rondine (Nat. Gall. di Londra) presenta un Giorgio dalla pesante ed elaboratissima armatura, la spada levata contro il mostro.
Nel sec. XV il Pisanello ritraeva Giorgio, che si accinge ad affrontare la lotta, per la chiesa di S. Anastasia a Verona, e il Carpaccio trattava lo stesso tema in una serie famosa di dipinti (1501-1503) nella scuola di S. Giorgio degli Schiavoni a Venezia, unitamente alle storie dei santi Girolamo e Trifone. Altri episodi della leggenda sono stati affrescati da Altichiero Altichieri e Iacopo Avanzi nell'oratorio di S. Giorgio a Padova (sec. XIV). Anche Raffaello non si sottrasse al fascino del personaggio dipingendo in età giovanile, nel 1504, su ordinazione di Guidobaldo da Urbino, una tavoletta in cui Giorgio appare a cavallo, con elmo e corazza, e alza la spada sul drago, mentre a terra giace la lancia spezzata. Nel numero delle opere che hanno proposto interi cicli della leggenda, ancora a Venezia, nel sec. XVI, il Veronese dipinse il martirio di Giorgio per la chiesa di S. Giorgio Maggiore. Va fatto, infine, cenno alle numerose miniature sia dei mss. orientali sia dei Libri d'Ore e Breviari occidentali. Per ricordarne alcuni: citiamo quella del Libro d'Ore del maresciallo di Boucicault (Museo Jacquemart-André di Parigi, sec. XIV) e quella del Breviaro del Duca di Bedford (Parigi, Gal. Naz.).
Non si esaurisce certo con questi cenni il fitto elenco di immagini relative a Giorgio Quanto in questa sede è stato esposto può dare tuttavia un'idea della ricchezza iconografica a lui dedicata in Oriente e in Occidente.


BIBLIOGRAFIA: Kunstle, pp. 263-79, G. Millet, Monuments de l'Art Byzantin, V, Monuments de l'Athos, Parigi 1927 pp. 176 186, 211, P. M. Kondakov, The Russian Icon Oxford i927, pp. 25, 38, 42, tav. XXV, 126, 128, 131 sgg., tav. XXI, F. Nimitz, Die Kunst Russlands, II, Berlino 1940 p. 39; Braun, coll. 283-89; B. Berenson, I pittori italiani del Rinascimento, Milano 19483, tavv. 192 195, 203, 237; P. Deschamps, La légende de St. G. et ies combats des Croisés dans les peintures murales du Moyen-age, in Monuments et memoires, XLIV (1950), pp. 109-23 tavv. 12-15; Réau, III, pp. 257-78; M. Salini, Cosmè Turá, (s.l.) 1956, pp. 24-26, fig. 8, tavv. X-XI; D. Otto, The Church of san Marco in Venice, Washington 1960, taw. 41, 105; Ch. Amiranachili, Smalti della Georgia, Milano 1963, taw. XLVII-VIII; [D. T.], Byzantinische Kunst, Monaco 1964, fig. 213.


Fonte: www.santiebeati.it

San Demetrio di Tessalonica Martire, Patrono dell'Ordine



San Demetrio di Tessalonica Martire
9 aprile
Martirologio Romano: Presso Srijem in Pannonia, nell’odierna Croazia, san Demetrio, martire, che ovunque in Oriente, e in particolar modo a Salonicco, gode di pia venerazione.
“A Sirmio in Pannonia, ricordo di San Demetrio, martire”: così il nuovo Martyrologium Romanum ricorda al 9 aprile uno dei santi più venerati ma al contempo più controversi dell’Oriente cristiano. Quanto al culto tributatogli San Demetrio è innegabilmente secondo solo a San Giorgio, ma inesistenti sono invece purtroppo notizie storiche al suo riguardo. Molteplici sono sia i luoghi che le date in cui egli è ricordato. Le Chiese Ortodosse gli hanno conferito l’appellativo di “Megalomartire” e lo commemorano prevalentemente al 26 ottobre.La nuova versione del martirologio cattolico non si sbilancia però verso nessuna delle leggende popolari nate nel corso dei secoli ed addirittura non cita la città di Tessalonica, assai legata al culto del santo. Sirmio, odierna Sremska Mitrovica nella Vojvodina serba, fu dunque assai probabilmente il luogo del martirio di Demetrio, forse diacono locale, prima del V secolo. Il culto del santo si diffuse oltre i confini della città forse quando Leonzio, prefetto dell’Illirico, trasferì la sede dell’autorità civile a Tessalonica, attuale Salonicco nella provincia greca della Macedonia. Pare che proprio lui fece edificare due grandi chiese in onore del santo nelle due città suddette. E’ fuori dubbio che Demetrio sia stato venerato a Sirmio prima ancora che la chiesa tessalonicese fosse costruita. Ma dopo la distruzione di Sirmio operata dagli unni nel 441, fu proprio Tessalonica a diventare il nuovo centro assoluto del culto del martire, divenendo fonte di attrazione per numerosi pellegrini. Si dice che le sue reliquie avrebbero potuto essere state qui trasferite verso il 418, ma non sussistono prove archeologicamente attendibili dell’esistenza di un reliquiario.Nel corso dei secoli nacque una “passio” relativa alla presunta storia del martire, che lo volle cittadino di Tessalonica, arrestato per la sua attività di predicazione del Vangelo e giustiziato presso le terme locali senza lo svolgimento di alcun processo. La chiesa, edificata sulle terme, ne incorpora una parte come una cripta, e si narra che nel Medio Evo le reliquie del santo trasudassero un olio profumato e miracoloso.Il più antico documento scritto ancora in nostro possesso risale solo al IX secolo ed attribuisce all’imperatore Massimiano l’ordine di procedere all’esecuzione. Racconti successivi, non meno leggendari, definirono Dimetri proconsole o guerriero, rendendolo in tal modo popolare tra i crociati che contribuirono ad espanderne il culto. Storicamente si può però solamente limitare ad affermare, come per San Giorgio, l’esistenza di un martire cristiano di nome Demetrio e nulla di più. Il giorno della sua festa è particolarmente solennizzato dalle Chiese orientali il 26 ottobre ed il suo nome è citato nella liturgia bizantina. L’originaria basilica macedone, distrutta da un incendio nel 1917 era adornata da preziosi mosaici risalenti al primo millennio, nei quali Demetrio era raffigurato in abiti diaconali, anche se tradizionalmente fu sempre raffigurato come soldato.Quanto alla data della sua memoria, se i sinassari bizantini la menzionano 26 ottobre, il Martirologio Romano ha conservato la data del Martirologio Siriaco, cioè il 9 aprile, benchè la fonte sia un testo corrotto: « Romae natalis sanctorum Demetrii, Concessi. Hilarii et sociorum ». Una seconda volta la medesima fonte commemora all’8 ottobre, data di cui però non si comprende bene l’origine. La stessa fonte commemora, ma a Tessalonica, il martirio di Demetrio. Il Calendario Palestino-georgiano del Sinaiticus 34, infine, commemora Demetrio insieme con un altro martire, Foca, il 25 ottobre e da solo il giorno seguente.


Fonte:www.santiebeati.it

mercoledì 9 settembre 2009

Cenni storici della Famiglia del Serenissimo Principe

Principe Don Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia, nato a Castel San Giovanni (PC) il 5 Maggio 1963, vivente. Pretendente al trono d'Epiro per abdicazione a suo favore, in data 25 Marzo 2001, di S.A.R. Alessandro d'Epiro, abdicazione riconosciuta dalla S. Chiesa Ortodossa. Capo temporale della S. Chiesa Ortodossa Autocefala d'Epiro.Trattamento di Altezza Reale; nominato Principe della Casa Imperiale d'Etiopia da S.A.I. Philip Makonnen il 2 Marzo 2005 col trattamento di Cugino e di Altezza Imperiale della Casa d'Etiopia. Della famiglia Pozzi, di chiara ed antica nobiltà lombarda, esistono diverse diramazioni che si trovano sparse in tutta Italia ed anche in Francia e tutte sono egualmente ragguardevoli ed illustri per dignità, cariche ed onori; essa già comparve nella Matricula Nobilium d’età viscontea del 1277 col nome latino di De Puteo, tradotto nei secoli successivi, dai vari rami, con Dal Pozzo, Del Pozzo e Pozzi. Filadelfo Mugnos in Teatro genealogico delle famiglie nobili, titolate, feudatarie ed antiche del fedelissimo regno di Sicilia viventi ed estinte, Palermo 1647, 1655, Messina 1670, di essa scrisse, con particolare riguardo al ramo che si recò in Sicilia: "Prima della guerra civile de’ Visconti signoreggiava la città di Alessandria, della quale non le rimase che una villa, ed un castello posseduti da un Giovanni del Pozzo gentiluomo d'onorata ricordanza; di là in Milano, Cremona, Parma, Torino, Sicilia si diffuse. Quivi da Alessandria nel 1286 i due fratelli Guglielmo e Giovanni vennero a' servigi di re Giacomo contro il francese re di Napoli, indi a quelli di Federico II 1296: se nonché il primo di essi cioè Guglielmo stanziò in Messina, ove nobilmente visse, rendendosi genitore di Filippo primo barone di Curali 1394, e di altri illustri gentiluomini, tra' quali un marchese Giovanni del Pozzo, un Gianfrancesco primo principe del Parco 1650 fondatore della commenda gerosolimitana di Alcina in Messina, un Giarraimondo vescovo di Este, altro Giovanni investito 1696, la di cui linea venne ad estinguersi in casa Papardo pel matrimonio di Violante del Pozzo principessa del Parco 1737, con Bernardo Papardo. Intanto il secondo cioè Giovanni si casò in Agrigento. Da quest'ultimo venne un Simone, che stabilì sua dimora in Palermo, ove fu senatore 1338. Il di lui figlio Giovanni fu capitano di detta città. Fiorirono inoltre: un Filippo barone di Molocca 1429; un Gianluigi, che acquistò le baronie di Graziano, Gallilauro. Montefusco, della Crucifia, e fu signore di Grottarossa e Daliella; un Matteo barone della terra di Motta d'Affermo 1587, ed altri che per brevità tralasciamo. Epperò vanta dei cavalieri gerosolimitani, come un fra' Luigi priore di Pisa 1523, ed un fra' Nicolò 1558”. E’per l’appunto dai Dal Pozzo di Alessandria, fregiati nelle varie discendenze dei titoli di Marchesi di Annone, Patrizi di Alessandria, Nobili, che la tradizione dice derivassero dalla famiglia romana Scribonia, che hanno avuto origine tutti gli altri ceppi, fra i quali possiamo citare i Dal Pozzo di Pavia e Firenze, Conti di Castellino e San Vincenzo ed i Pozzi di Cremona, di Nobiltà civica. Il Crollalanza di questi ultimi rammenta che trentacinque di essi furono decurioni, il primo fu Manfredino, eletto nel 1115 e l’ultimo Camillo nel 1744; indi ricorda che Guglielmo fu Senatore nel 1125 e Carlo nel 1179 e che il giureconsulto Bartolomeo fu fra i compilatori degli Statuti di Cremona nel XIV secolo. A riprova che i vari rami avevano origine comune sta il fatto che tutti hanno usato lo stesso stemma d’oro al pozzo di rosso, sostenuto da due draghi di verde, affrontati e controrampanti, linguati di rosso con le code passanti sotto il pozzo in croce di Sant’Andrea, arma alzata ab immemorabili anche dalla famiglia paterna del Principe Davide. Presso l’archivio del Nob. Don Vittorio Urbano Crivelli Visconti, insigne studioso della famiglie nobili italiane vi è un fascicolo, relativo alla famiglia paterna del Principe Davide, corredato di tavole genealogiche e stemma, da cui risulta in modo inconfutabile il titolo di Nobile ed il diritto di utilizzare tale arma. Dopo l'abdicazione a suo favore di S.A.R. il Principe Alessandro d'Epiro, Don Davide ha assunto un nuovo stemma rispettoso dell' aradica balcanica e adeguato al nuovo rango assunto. In tale stemma è stata inquartata l'antica arma di famiglia. Fra i vari titoli di cui Sua Altezza è insignito vi è quello di Conte di Caorso secondo la legislazione napoleonica del Regno italico e l' onorificenza di Ufficiale d'Onore delI' Impero francese: questo spiega la presenza nello stemma del quartofranco napoleonico.

Blasonatura dello stemma del Serenissimo Principe


Aquila bicipite di nero, coronata con la corona reale d'Epiro, rostrata e linguata di rosso, impugnante con la destra uno scettro, con la sinistra una spada. L'aquila è caricata in petto da uno scudo d' azzurro alla croce d'argento, arma di pretensione, a sua volta caricato da uno scudo partito; nel primo: d'oro al pozzo di rosso, sostenuto da due draghi di verde, alati, affrontati e controrampanti, linguati di rosso con le code attorcigliate e passanti sotto al pozzo in croce di Sant' Andrea. Quartofranco di rosso, all' aquila napoleonica d'oro, a volo abbassato artigliante i fulmini dello stesso, alla spada al naturale, in fascia, l' impugnatura alla destra. Nel secondo: d’oro a tre bande di rosso, con il sacco d’argento, legato; con il capo d'oro caricato di un'aquila coronata, di nero. Padiglione di rosso, foderato di vaio, coronato. Motto in lingua greca: KATA NOMON.

El Reino de Epiro, su historia y avatares (Una desconocida realidad en la Península Balcánica)


(Artículo publicado en la Revista Caballeros de Yuste)


El mundo de los Balcanes sigue siendo, para los europeos occidentales en general y para los españoles en particular, un mundo desconocido. A excepción de Grecia, las pocas noticias que alguien de la calle podría darnos sobre esa zona serían sobre la devastadora guerra y sus terribles consecuencias que asoló a muchas de sus naciones tras la caída de los regímenes comunistas totalitarios.Otro hecho ignorado son las Casas Reales, un día Soberanas de hecho, que reinaron en aquella zona. En nuestro país conocemos sobradamente, la Casa Real Griega o la Casa Real Búlgara, ya que el Rey Simeón tuvo su residencia en Madrid, como de todos es sabido, hasta su regreso a su país tras ser elegido Primer Ministro del mismo, caso único en la historia de las Monarquías europeas, y que sólo sería comparable al del Archiduque Otto de Habsburgo (que es Caballero de Yuste, como bien saben los lectores) al ser elegido miembro del Parlamento Europeo. Los hijos de Simeón de Bulgaria y Margarita Gómez-Acebo, llenan las páginas del colorín, pero no serán muchos los que recuerden al Rey Leka de Albania, que tuvo su residencia en España hasta que se trasladó a Sudáfrica.Sin embargo, la relación de Casas Sobreranas balcánicas es extensa (superando la veintena) y para muchos sonarán exóticas, cuando no desconocidas: Croacia, Daviskos, Montenegro, Moldavia, Iliria, Dardania, Rumelia, Macedonia, Ragusa, Transilvania, Mani, Voivodina... los nombres de cuyas dinastías, un día reinantes, son impronunciables para nuestra lengua. A ellas se deben añadir familias italianas descendientes de los emperadores de Bizancio, que conservan aún el rango de Casas Soberanas y cuyos miembros ostentan tratamiento de Alteza Imperial, como puede ser el caso de los Príncipes Amoroso d’Aragona, Láscaris Comneno, o Lavarello Obrenovich. En cualquier caso, el fenómeno del neobizantinismo es algo recurrente en las Casas Soberanas Balcánicas.Hoy nos fijaremos en una región, que –como muchas de las anteriormente citadas- no es ya ni siquiera un estado, el antiguo Reino de Epiro, cuyo territorio se dividen, actualmente, Albania y Grecia. En la antigüedad era una región poblada por diversas tribus griegas, que no poseían una unidad política definida, como, por otra parte, era habitual en la Grecia Clásica. Sus límites eran: Al norte con Iliria y Macedonia, al sur con el golfo de Ambracia y Etolia, al este con Tesalia y al oeste con el mar Jónico, el sector central y septentrional del Epiro durante la antigüedad clásica constituía la región llamada Molosia. La Cordillera de Pindo separa esta región de Tesalia.El nombre procede del griego clásico Ήπειρος, cuyo significado es tierra firme, continente. Los primeros asentamientos humanos de los que existen constancia se pueden datar entre los siglos XX y XVI antes de nuestra Era. Fue, desde tiempos clásicos, y sigue siendo en la actualidad, una región agrícola en que se cultiva sobre todo trigo y otros cereales, verduras, frutas, olivos y tabaco, este último introducido en la época de la dominación otomana.En el siglo IX antes de nuestra Era los corintios fundan la colonia de Butrinto. Toda la región se mantuvo dividida por guerras civiles entre los diverosos pueblos que la habitaban, los molosios, cesprotios, bardeos y caonios. Igualmente mantuvo frecuentes guerras con su meridional vecina Macedonia, excepto en el período de tiempo en que los reyes de Molosia firmaron lazos de amistad con Filipo II de Macedonia. De este pacto salió el matrimonio del monarca macedonio con la princesa Olimpia de Epiro hija del Rey Neoptolemo, de cuyo matrimonio nacería Alejandro Magno. Su máximo esplendor lo tuvo a finales del siglo V y principios del siglo IV antes de nuestra Era, con la unificación de los diversos pueblos por parte de Taripas y con el rey Pirro, ya en el siglo III antes de nuestra Era, conocido por sus victorias sobre Roma en Heraclea y Ásculo, las cuales le costaron grandes pérdidas y dieron origen a la expresión victoria pírrica. Su principal ciudad era Dodona famosa por su oráculo y ubicada en el Reino sufragáneo de Molosia. Durante el reinado de Alejandro de Epiro, la residencia real fue establecida en la ciudad de Butrinto.En el año 146 antes de nuestra era pasó a formar parte del Imperio Romano y, tras la división del Imperio por Teodosio en el 395 de nuestra Era, Epiro pasó a ser parte del Imperio Romano de Oriente, subordinado a los Emperadores Bizantinos. Aun así, en el 396 la región fue brevemente invadida por los visigodos del Rey Alarico. Desde 1205, tras la toma de Constantinopla por los cruzados, y hasta 1479, formó un reino medieval llamado Despotado de Epiro, en el que se sucedieron las dinastías Lucas Comneno (Bizantinos), y las latinas de los Orsini, Nemañich, Buondelmonti y Tocco, siendo, en algunos momentos, vasallos de los albaneses, queines finalmente lo invadieron y fueron invadidos por los turcos otomanos, quienes mantuvieron el dominio sobre la zona hasta la caída de la Sublime Puerta.Como vamos viendo, la historia de Epiro, como la de todos los Balcanes es una continua sucesión de conquistas y guerras de pueblos sobre pueblos. En 1913, tras la independencia de Turquía, la zona meridional de Epiro pasa a Grecia y la Septentrional a Albania. El 17 de febrero de 1914, apoyado por el Imperio Austrohúngaro y el Reino de Italia, Epiro proclama su independencia en Argirocastro. Esta independencia fue ratificada por el Protocolo de Corfú, firmado el 5 de mayo de ese mismo año por varias potencias europeas, Austria-Hungría, Italia, Francia, Alemania, Reino Unido, Rusia Albania y el propio Gobierno de Epiro, representado por Georgios Cristakis-Zoógrafos, quien fue proclamado Rey por los Metropolitanos Ortodoxos del país con le nombre de Jorge I. El reinado fue corto, puesto que en 1916, en plena Gran Guerra, fue ocupado por los Albaneses, más tarde, durante la II Guerra Mundial, los Griegos lo invadieron para frenar la expansión italiana en los Balcanes. En 1943, por un pacto entre Albania y Grecia, se volvieron a repartir el territorio y Epiro del Norte quedó en manos del régimen comunista de Tirana.En todo este tiempo, se mantuvo el Gobierno en el Exilio del Reino de Epiro en los Estados Unidos de América. Este Gobierno en el Exilio, viene reconocido por la sentencia de la Corte de Apelación de París de 1983, en la que se afirmó que un Gobierno en el exilio no pierde el propio derecho de expedir decretos, de conferir Órdenes de Caballería, de mantener la propia Autoridad por cuanto puede ser hecho y transmitir la propia Legitimidad, según el Derecho Internacional a los sucesivos Jefes de Estado. En este sentido puede recordarse el caso del Gobierno en el exilio de Polonia, o, sin irnos tan lejos, el Gobierno Republicano Español en el exilio, o la Casa Real Española.En 1999 el Príncipe Alejandro de Epiro, Jefe de la Real Casa y sobrino de la Reina Geraldina de Albania, decidió revitalizar el Gobierno en el exilio, con el apoyo de la Familia Real de Albania y de la Iglesia Ortodoxa. Su actividad fue ingente, y, finalmente, decidió ceder sus derechos al actual Jefe de la Real Casa de Epiro, S.A.R. el Principe Davide Pozzi di Santa Sofia, quien es, de Derecho, Rey de Epiro en el exilio, tal y como aparece inscrito en el prestigioso Almanaque Gotha, que recoge todas las Casas Reinantes.El Príncipe de Santa Sofía nació el día 5 de mayo de 1963 en Castel San Giovanni (Italia), vive en el exilio en Pavía, donde ejerce la docencia superior como Profesor de Letras Antiguas y Modernas. y está casado desde septiembre de 2001 con la Baronesa Patricia La Torre, cuyo matirmonio se celebró por el doble rito Católico y Ortodoxo. Posee los títulos de Rey de Epiro en el exilio, que habitualmete no usa, Gran Príncipe de Epiro, Príncipe di Santa Sofia, Duca de Forchheim, Marqués de Tornese, Conde di Santa Maura, Conde de Caorso, Barón de San Fiorano, Barón del Sacro Palacio Lateranense (Concedido por la Santa Sede) y Señor de Azzanello y Acqualunga.Igualmente es Gran Maestro Soberano de las Órdenes de la Casa Real de Epiro: La Orden Ecuestre del Águila de Epiro, la Orden al Mérito del Águila de Epiro, la Orden al Mérito Civil y la Cruz al Mérito. La primera se trata de una Orden de Caballería instaurada en 1207 por Miguel I de Epiro como Milicia Aurata del Águila de Epiro y que tiene, en su origen, relación con la Orden Constantiniana. No en vano ya se señaló el fuerte sello del neobizantinismo en las Casas Reales Balcánicas. El resto de Órdenes de Honorificencia.Sobre el neobizantinismo es curioso y necesario señalar la especial relación entre el Príncipe de Santa Sofía y la Iglesia Ortodoxa. Él,no obstante sea católico, como Jefe de la Real Casa, es Protector de la Iglesia Ortodoxa de Epiro (que, como las Iglesias Orientales es autocéfala), de la que, por otra parte, necesita su aprobación para ser legítimo Rey. Es una situación similar a la que existía en Bizancio entre el Emperador y el Patriarca y que se escapa a nuestro pensamiento católico occidental. Tiene el privilegio de estar, en las ceremonias religiosas, dentro del iconostasio, separado del resto de la asamblea y cerca de los celebrantes, así como tiene la facultad de impartir su bendición con la cruz patriarcal.El Príncipe de Santa Sofía mantiene relaciones de cordialidad con la Santa Sede, las Casas Imperiales de Rusia, Etiopía y Vietnam, con las Casas Reales de España (rama Carlista), de Portugal, de Egipto y de Baviera, entre otras, además de pertenecer a prestigiosas Órdenes e Instituciones como la Orden de Malta, la Teutónica, el Colegio Heráldico Ruso y poseer numerosas condecoraciones y reconocimientos de Casas Reales, Gobiernos e Instituciones Internacionales. Es curioso señalar que el Príncipe es primo del Arzobispo Metropolitano Ortodoxo Kirill y sobrino del fallecido Cardenal Oddi.Lleva una vida realmente activa para dar a conocer su causa y el Reino de Epiro y no pretende, en ningún caso, promover movimientos independentistas, antes al contrario, trabaja por la paz y la tolerancia en una zona tradicionalmente tan conflictiva como los Balcanes. Su lucha principal es conseguir un gobierno autónomo para la región de Epiro, dentro de Albania, dentro de un proyecto común de estado. Se mantiene permanentemente informado de los asuntos de su país y ha condenado, en repetidas ocasiones, cualquier tipo de movimiento separatista que preconice la violencia y el odio.El Gobierno de Epiro en el exilio cuenta con más de veinte representantes diplomáticos en el mundo, dispersos por los cinco continentes, que trabajan, callada y silenciosamente para dar a conocer la realidad de esta nación y entablar relaciones de amistad y colaboración con otros Gobiernos e Instituciones.Así es la vida discreta y callada del Jefe de una Casa Real, la de Epiro, que trabaja por el bienestar de su pueblo, sin búsqueda de aspiraciones personales ni protagonismo. A diferencia de otras Casas Reales que se pasan la vida regaladamente entregados a la superficialidad, el Príncipe de Santa Sofía, consciente de las obligaciones históricas de las que es depositario, se desvela por un pueblo, el de Epiro, que espero hayan podido conocer un poco a través de estas páginas.
ARTICOLO SCRITTO DA: Francisco Acedo Fernandez Pereira


Bibliografía:


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