Il 15 Dicembre 2010 Sua Eccellenza il Governatore del Texas Rick Perry, con brevetto dato nella sede del Governo in Austin, brevetto controfirmato dal Segretario di Stato Hope Andrade ha nominato Don Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia "Admiral in the Texas Navy". Negli Stati Uniti non esistono ordini cavallereschi statuali ed ogni Stato membro dellUnione conferisce proprie distinzioni onorifiche. Il Texas, fin dall' Ottocento, nomina cittadini statunitensi e stranieri benemeriti Ammiraglio del Texas; si tratta, ovviamente, di un titolo onorifico che può essere paragonato, in Italia, al Cavalierato della Repubblica. Poichè il Serenissimo Principe non poteva presenziare alla cerimonia il Governatore ha fatto consegnare il brevetto a mezzo postale.
mercoledì 9 febbraio 2011
sabato 8 gennaio 2011
STORIA: IL VOLODATO D’UKRANA (1918-19 e 1939)
1920. Il principe Nikolai Aleksandrovic Dolgorukij con la consorte, la granduchessa Maria di Russia.
Il Volodato (Regno) d’Ukraina fu proclamato una prima volta il 14 dicembre 1918, tra i bagliori della guerra civile russa. La corona ed il titolo di Volodar (Re) furono assegnati al principe Aleksandr Nicolaevic Dolgorukij, erede di quei Dolgorukij che nel Medioevo avevano regnato su Kiev e che successivamente si erano imparentati con i Romanov. L’anno seguente, comunque, il Volodar veniva ucciso dai comunisti, e del Regno d’Ukraina non si parlerà più per vent’anni, sino alla vigilia della dissoluzione della Cecoslovacchia.
Sembra che il figlio del primo Volodar, il principe Nikolai Aleksandrovic, facesse parte di quella schiera di nazionalisti ucraini che raggiungeva la Rutenia Subcarpatica (regione ucraina che era stata inclusa nella Cecoslovacchia) nei giorni che precedevano la proclamazione d’indipendenza, animati dalla speranza di poter fare della regione rutena il trampolino di lancio per realizzare la liberazione di tutta l’Ukraina.
Il 14 marzo 1939 la Dieta di Chust proclamava l’indipendenza dell’Ukraina Carpatica (nuova denominazione della Rutenia) ed attribuiva il ruolo di capo provvisorio dello Stato a monsignor Augustin Voloshin (o Wolochyn), leader storico dell’autonomismo ruteno. Il giorno dopo, tuttavia, la stessa Dieta proclamava la restaurazione della monarchia ukraina e designava il principe Nikolai Aleksandrovic Dolgorukij quale Volodar d’Ukraina e Rutenia e Granduca di Kiev.
Tale ultima notizia, oggi del tutto ignorata dalla storiografia ufficiale, è desumibile soltanto da certa pubblicistica araldica. Appare, comunque, tutt’altro che priva di fondamento, e ciò per almeno due ordini di motivi: in primo luogo, per l’appartenenza di monsignor Voloshin al campo monarchico; e, in secondo luogo, perché la designazione del principe Nikolai avrebbe portato alla causa ukraina il sostegno dell’influente emigrazione zarista russa, in forza dei rapporti di parentela dei Dolgorukij con la famiglia Romanov (il Volodar era sposato con la granduchessa Maria di Russia).
Questo secondo e del tutto teorico Volodato, in ogni caso, durava molto poco. Il patto germano sovietico, già in gestazione, prevedeva un’Ukraina legata a Mosca e svincolata dalla sfera d'influenza tedesca: Hitler rifiutava, perciò, di garantire la protezione di uno Stato ruteno-ukraino, e preferiva accogliere le richieste degli ungheresi, che rivendicavano la Rutenia in nome degli antichi legami storici. I magiari invadevano così l’Ukraina Carpatica il 15 marzo, e il 18 la annettevano frettolosamente al Regno di Santo Stefano.
Aveva così termine la breve indipendenza rutena e l’altrettanto breve vita del nuovo Volodato d’Ukraina. Questo sopravviveva ancora per qualche tempo in esilio e, quando la Germania scatenava l’Operazione Barbarossa ed invadeva l’Ukraina (incontrandovi il favore degli elementi antisovietici), i seguaci dei Dolgorukij erano tra coloro che facevano sentire la propria voce. Fra l’altro, era costituito un organismo denominato Consiglio Ukraino Monarchico Legittimista.
Veniva anche dato nuovo impulso ad un vecchio ordine cavalleresco, creato nel 1918 dal Volodar Aleksandr, il Reale Ordine Ukraino di San Vladimiro. L’elenco dei cavalieri dell’Ordine – che abbiamo desunto da un vecchio bollettino araldico(1) – testimonia l’attribuzione di numerose onorificenze negli anni 1939-44. Fra gli altri, alcuni nominativi appaiono significativi: nel 1939, monsignor Augustin Voloshin “Primo Ministro dell’Ukraina Carpatica”; nel 1941, il dottor Yaroslav Stetsko “Primo Ministro dell’Ukraina-Rutenia” (la qualcosa testimonia la vicinanza ad una delle due fazioni nazionaliste, quella di Stefan Bandera); nel 1943, Benito Mussolini e l’ambasciatore von Papen.
(1) The Sain George Journal, organo della Knightly Association of Saint George the Marthyr. Sylvester (West Virginia), senza data di pubblicazione (probabilmente 1987).
Autore: Dott. Michele Rallo
Tratto da:www.europaorientale.net
Sembra che il figlio del primo Volodar, il principe Nikolai Aleksandrovic, facesse parte di quella schiera di nazionalisti ucraini che raggiungeva la Rutenia Subcarpatica (regione ucraina che era stata inclusa nella Cecoslovacchia) nei giorni che precedevano la proclamazione d’indipendenza, animati dalla speranza di poter fare della regione rutena il trampolino di lancio per realizzare la liberazione di tutta l’Ukraina.
Il 14 marzo 1939 la Dieta di Chust proclamava l’indipendenza dell’Ukraina Carpatica (nuova denominazione della Rutenia) ed attribuiva il ruolo di capo provvisorio dello Stato a monsignor Augustin Voloshin (o Wolochyn), leader storico dell’autonomismo ruteno. Il giorno dopo, tuttavia, la stessa Dieta proclamava la restaurazione della monarchia ukraina e designava il principe Nikolai Aleksandrovic Dolgorukij quale Volodar d’Ukraina e Rutenia e Granduca di Kiev.
Tale ultima notizia, oggi del tutto ignorata dalla storiografia ufficiale, è desumibile soltanto da certa pubblicistica araldica. Appare, comunque, tutt’altro che priva di fondamento, e ciò per almeno due ordini di motivi: in primo luogo, per l’appartenenza di monsignor Voloshin al campo monarchico; e, in secondo luogo, perché la designazione del principe Nikolai avrebbe portato alla causa ukraina il sostegno dell’influente emigrazione zarista russa, in forza dei rapporti di parentela dei Dolgorukij con la famiglia Romanov (il Volodar era sposato con la granduchessa Maria di Russia).
Questo secondo e del tutto teorico Volodato, in ogni caso, durava molto poco. Il patto germano sovietico, già in gestazione, prevedeva un’Ukraina legata a Mosca e svincolata dalla sfera d'influenza tedesca: Hitler rifiutava, perciò, di garantire la protezione di uno Stato ruteno-ukraino, e preferiva accogliere le richieste degli ungheresi, che rivendicavano la Rutenia in nome degli antichi legami storici. I magiari invadevano così l’Ukraina Carpatica il 15 marzo, e il 18 la annettevano frettolosamente al Regno di Santo Stefano.
Aveva così termine la breve indipendenza rutena e l’altrettanto breve vita del nuovo Volodato d’Ukraina. Questo sopravviveva ancora per qualche tempo in esilio e, quando la Germania scatenava l’Operazione Barbarossa ed invadeva l’Ukraina (incontrandovi il favore degli elementi antisovietici), i seguaci dei Dolgorukij erano tra coloro che facevano sentire la propria voce. Fra l’altro, era costituito un organismo denominato Consiglio Ukraino Monarchico Legittimista.
Veniva anche dato nuovo impulso ad un vecchio ordine cavalleresco, creato nel 1918 dal Volodar Aleksandr, il Reale Ordine Ukraino di San Vladimiro. L’elenco dei cavalieri dell’Ordine – che abbiamo desunto da un vecchio bollettino araldico(1) – testimonia l’attribuzione di numerose onorificenze negli anni 1939-44. Fra gli altri, alcuni nominativi appaiono significativi: nel 1939, monsignor Augustin Voloshin “Primo Ministro dell’Ukraina Carpatica”; nel 1941, il dottor Yaroslav Stetsko “Primo Ministro dell’Ukraina-Rutenia” (la qualcosa testimonia la vicinanza ad una delle due fazioni nazionaliste, quella di Stefan Bandera); nel 1943, Benito Mussolini e l’ambasciatore von Papen.
(1) The Sain George Journal, organo della Knightly Association of Saint George the Marthyr. Sylvester (West Virginia), senza data di pubblicazione (probabilmente 1987).
Autore: Dott. Michele Rallo
Tratto da:www.europaorientale.net
STORIA: IL PRINCIPATO DEL PINDO (1941-1947)
Questa cartina, risalente alla fine degli anni ’30, mostra la dislocazione dei nuclei etnici di origine rumena nell’area epirota-macedone-albanese. La più grande delle “macchie” a righe oblique – ad est di Giannina – corrisponde grosso modo al territorio del futuro Principato del Pindo. Si noti – poco più a nord, in territorio albanese – la piccola regione di Korça (o Koritza), dal 1916 al 1918 sede della cosiddetta “Repubblica di Korcia”.
Il Pindo è una vasta regione montagnosa posta a cavallo tra la Bassa Albania e l’Epiro, da una parte, e la Macedonia Egea e la Tessaglia settentrionale dall’altra; è abitato prevalentemente da un’etnia di origine rumena, gli aromeni o cuzo-valacchi, che hanno peraltro presenze affini ancorché più sporadiche in altre regioni balcaniche (ricordiamo i morlacchi della Dalmazia e gli istrorumeni del Quarnaro).
Nel 1941 gli italiani – che occupavano la Grecia – pensavano di cavalcare l’autonomismo aromeno creando un’entità territoriale dotata di un certo grado di autonomia. Veniva così costituito il Principato del Pindo, di cui era designato sovrano il nobile valacco Alkiviadis Diamandi di Samarina, noto per essere stato – nel 1918 – uno dei promotori della cosiddetta Repubblica di Koritza (regione della Bassa Albania popolata da albanesi-ortodossi, greci ed aromeni), nonché – in epoca più recente – capo dell’organizzazione fascista Legione Romana.
Non si creda, tuttavia, che la creazione del Principato rispondesse ad un’esigenza solamente utilitaristica da parte italiana. La diplomazia di Roma – o almeno una parte di essa – ”vedeva” uno Stato epirota-corfiota fra l’Albania e la Grecia, e molto probabilmente “vedeva” pure uno Stato valacco tra l’Epiro e la Macedonia Egea, uno Stato che forse avrebbe potuto estendersi a nord (fino a Koritza) a separare anche la Basa Albania dalla regione egeo-macedone.
Il Principato del Pindo aveva una regolare vita politica e amministrativa, ed intratteneva rapporti – oltre che con l’Italia – con la Romania, madrepatria degli aromeni, e con la Bulgaria. Al suo confine orientale si trovava – come già detto – la Macedonia: precisamente, si trattava della Macedonia Egea (ormai greca o grecizzata), peraltro oggetto delle mire annessioniste dei bulgari e dei bulgaro-macedoni della VMRO; e, ancora più nel dettaglio, di quella parte di Macedonia Egea che era abitata dalle stesse genti aromene che popolavano il Pindo. Nel 1942 una imprecisata fazione dell’Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone (si trattava certamente della branca rappresentativa della componente valacco-macedone) offriva la corona di uno spicchio di Macedonia, la valle di Moglena, al principe Alkiviadis, che l’accettava. Da quel momento lo Stato valacco assumeva la denominazione di Principato del Pindo e di Moglena o – più pomposamente – di Principato del Pindo e Voivodato (ovvero Ducato) di Macedonia. (1)
Poco dopo questo evento (siamo approssimativamente alla fine del 1942), Alcibiade I cedeva il trono al suo braccio-destro Nikolas Matoussi (Nicola I), che lo manteneva fino alla caduta del fascismo in Italia.
Il Principato sopravviveva, comunque, alla fine del regime italiano. Era designato un nuovo sovrano (il nobile magiaro-valacco Gyula Cseszneky de Milvànyi), che regnava per pochi giorni, fino all’8 settembre. Poi abdicava in favore del fratello Michail, che però non accettava.
Venivano infine gli ultimi sussulti della seconda guerra mondiale ed i primi della guerra civile greca. Il Pindo seguiva le sorti dell’Epiro, e veniva poi definitivamente riannesso alla Grecia (probabilmente nel 1947). I suoi abitanti dovranno pagare un prezzo per il sostegno dato alla causa italiana. (2)
(1) Principality of Pindus and Voivodship of Macedonia. www.wikipedia.org [2007]
(2) Fiorenzo TOSO: Lingue d’Europa. La pluralità linguistica dei paesi europei fra passato e presente. Baldini Castoldi Dalai editore, Milano, 2006.
Autore:Dott.Michele Rallo
Tratto da:www.europaorientale.net
Il Pindo è una vasta regione montagnosa posta a cavallo tra la Bassa Albania e l’Epiro, da una parte, e la Macedonia Egea e la Tessaglia settentrionale dall’altra; è abitato prevalentemente da un’etnia di origine rumena, gli aromeni o cuzo-valacchi, che hanno peraltro presenze affini ancorché più sporadiche in altre regioni balcaniche (ricordiamo i morlacchi della Dalmazia e gli istrorumeni del Quarnaro).
Nel 1941 gli italiani – che occupavano la Grecia – pensavano di cavalcare l’autonomismo aromeno creando un’entità territoriale dotata di un certo grado di autonomia. Veniva così costituito il Principato del Pindo, di cui era designato sovrano il nobile valacco Alkiviadis Diamandi di Samarina, noto per essere stato – nel 1918 – uno dei promotori della cosiddetta Repubblica di Koritza (regione della Bassa Albania popolata da albanesi-ortodossi, greci ed aromeni), nonché – in epoca più recente – capo dell’organizzazione fascista Legione Romana.
Non si creda, tuttavia, che la creazione del Principato rispondesse ad un’esigenza solamente utilitaristica da parte italiana. La diplomazia di Roma – o almeno una parte di essa – ”vedeva” uno Stato epirota-corfiota fra l’Albania e la Grecia, e molto probabilmente “vedeva” pure uno Stato valacco tra l’Epiro e la Macedonia Egea, uno Stato che forse avrebbe potuto estendersi a nord (fino a Koritza) a separare anche la Basa Albania dalla regione egeo-macedone.
Il Principato del Pindo aveva una regolare vita politica e amministrativa, ed intratteneva rapporti – oltre che con l’Italia – con la Romania, madrepatria degli aromeni, e con la Bulgaria. Al suo confine orientale si trovava – come già detto – la Macedonia: precisamente, si trattava della Macedonia Egea (ormai greca o grecizzata), peraltro oggetto delle mire annessioniste dei bulgari e dei bulgaro-macedoni della VMRO; e, ancora più nel dettaglio, di quella parte di Macedonia Egea che era abitata dalle stesse genti aromene che popolavano il Pindo. Nel 1942 una imprecisata fazione dell’Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone (si trattava certamente della branca rappresentativa della componente valacco-macedone) offriva la corona di uno spicchio di Macedonia, la valle di Moglena, al principe Alkiviadis, che l’accettava. Da quel momento lo Stato valacco assumeva la denominazione di Principato del Pindo e di Moglena o – più pomposamente – di Principato del Pindo e Voivodato (ovvero Ducato) di Macedonia. (1)
Poco dopo questo evento (siamo approssimativamente alla fine del 1942), Alcibiade I cedeva il trono al suo braccio-destro Nikolas Matoussi (Nicola I), che lo manteneva fino alla caduta del fascismo in Italia.
Il Principato sopravviveva, comunque, alla fine del regime italiano. Era designato un nuovo sovrano (il nobile magiaro-valacco Gyula Cseszneky de Milvànyi), che regnava per pochi giorni, fino all’8 settembre. Poi abdicava in favore del fratello Michail, che però non accettava.
Venivano infine gli ultimi sussulti della seconda guerra mondiale ed i primi della guerra civile greca. Il Pindo seguiva le sorti dell’Epiro, e veniva poi definitivamente riannesso alla Grecia (probabilmente nel 1947). I suoi abitanti dovranno pagare un prezzo per il sostegno dato alla causa italiana. (2)
(1) Principality of Pindus and Voivodship of Macedonia. www.wikipedia.org [2007]
(2) Fiorenzo TOSO: Lingue d’Europa. La pluralità linguistica dei paesi europei fra passato e presente. Baldini Castoldi Dalai editore, Milano, 2006.
Autore:Dott.Michele Rallo
Tratto da:www.europaorientale.net
STORIA: IL REGNO D’EPIRO (1914-1916)
17 Febbraio 1914: la proclamazione d'indipendenza dell'Epiro del Nord
Il Regno d’Epiro governò sul campo negli anni 1914-16. Filiazione del Governo Provvisorio del Nord Epiro (sorto all’indomani dell’evacuazione greca dei territori che il protocollo di Firenze aveva assegnato al nascente Principato d’Albania) il Regno d’Epiro venne proclamato nel marzo 1914, e la sua corona fu attribuita al nobile Gheòrghios Kristaki Zogràfos; questi era un esponente di quella corrente politica che ad Atene faceva capo al re Konstantìnos I e che si opponeva all’atteggiamento rinunciatario del governo di Elefthèrios Venizèlos. Non è escluso, anzi, che la designazione di Zogràfos fosse stata pilotata proprio da Re Costantino, al fine di bilanciare l’azione del governo Venizèlos.
Attenzione: la denominazione era non Regno del Nord Epiro, ma Regno d’Epiro. Ciò non costituiva certo una manifestazione d’ostilità nei confronti della madrepatria ellenica, bensì la chiara rivendicazione di una precisa specificità nell’àmbito della Megàli Idèa, la “grande idea” panellenista. Ed era, nel contempo, una netta presa di distanza nei confronti del governo venizèlista di Atene, propenso ad abbandonare il territorio nordepirota al suo destino pur di ottenere – secondo i desiderata britannici – il ritiro dell’Italia dal Dodecanneso.
Dunque, la formazione del Regno d’Epiro era accolta dall’ostilità del governo greco. Al contrario, e significativamente, poteva contare sul sostegno incondizionato della Chiesa Ortodossa. Non soltanto, infatti, erano stati i tre Metropliti epiroti a presiedere l’assemblea che aveva proclamato il Regno, ma era in un secondo tempo lo stesso Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli a riconoscere formalmente la nuova entità statale, ed a solennizzarla con l’attribuzione dell’autocefalìa alla Chiesa Ortodossa Epirota sotto l’alto protettorato di Re Zogràfos.(1) E’ appena il caso di notare che, nel mondo balcanico, il riconoscimento della Chiesa Ortodossa aveva infinitamente più valore che non quello di questo o quel governo, e che, quindi, la proclamazione dell’autocefalìa epirota rappresentava una sanzione definitiva della legittimità del Regno d’Epiro. La concessione dell’autocefalìa, inoltre, può essere oggi considerata come la prova dell’effettiva costituzione del Regno, da molti messa in dubbio: mai, infatti, le autorità religiose ortodosse avrebbero concesso tale attribuzione ad un semplice governatorato autonomo.
Quanto al governo di Atene, continuerà a guardare con grande diffidenza al Regno d’Epiro; e non soltanto e non tanto per la questione nordepirota in sè, quanto piuttosto per la manifesta volontà del piccolo Regno di estendere la propria autorità e la propria rappresentatività a tutto l’Epiro, regione che da parte greca si voleva semplicemente includere nel territorio nazionale, senza il riconoscimento di alcuna particolarità, di alcuna specificità e, soprattutto, di alcuna autonomia.
A nostro parere, era proprio il timore di una secessione epirota a convincere anche Re Costantino dell’opportunità di circoscrivere l’episodio, e ad indurlo – probabilmente – a chiedere al fido Zogràfos di farsi da parte e di dimenticare la sua investitura reale. Gheòrghios Kristaki Zogràfos rientrava perciò disciplinatamente nell’ombra, accettava di andare a ricoprire il ruolo di Ministro degli Esteri nel governo costantinista di Dimìtrios Gùnaris (aprile 1915), e di un Regno d’Epiro non si parlava più, almeno ufficialmente.
Il Regno, comunque, seguiva le sorti del Governo Provvisorio del Nord Epiro, e tramontava con l’occupazione militare del territorio nordepirota da parte albanese (novembre 1916).
Da allora e fino agli anni ’90 del XX secolo, la rappresentanza dello Stato nordepirota è stata assicurata dalla Chiesa ortodossa e dai movimenti di resistenza al regime comunista albanese, che hanno promosso l’attività di governi in esilio.
Dopo una lunga vacatio, infine, il teorico trono dell’Epiro è stato assegnato – proprio dai movimenti di resistenza – al principe Alèxandros (nipote della regina Geraldina d’Albania), il quale nel 2001 ha abdicato in favore di un nobile italiano, il principe Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia.
Attenzione: la denominazione era non Regno del Nord Epiro, ma Regno d’Epiro. Ciò non costituiva certo una manifestazione d’ostilità nei confronti della madrepatria ellenica, bensì la chiara rivendicazione di una precisa specificità nell’àmbito della Megàli Idèa, la “grande idea” panellenista. Ed era, nel contempo, una netta presa di distanza nei confronti del governo venizèlista di Atene, propenso ad abbandonare il territorio nordepirota al suo destino pur di ottenere – secondo i desiderata britannici – il ritiro dell’Italia dal Dodecanneso.
Dunque, la formazione del Regno d’Epiro era accolta dall’ostilità del governo greco. Al contrario, e significativamente, poteva contare sul sostegno incondizionato della Chiesa Ortodossa. Non soltanto, infatti, erano stati i tre Metropliti epiroti a presiedere l’assemblea che aveva proclamato il Regno, ma era in un secondo tempo lo stesso Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli a riconoscere formalmente la nuova entità statale, ed a solennizzarla con l’attribuzione dell’autocefalìa alla Chiesa Ortodossa Epirota sotto l’alto protettorato di Re Zogràfos.(1) E’ appena il caso di notare che, nel mondo balcanico, il riconoscimento della Chiesa Ortodossa aveva infinitamente più valore che non quello di questo o quel governo, e che, quindi, la proclamazione dell’autocefalìa epirota rappresentava una sanzione definitiva della legittimità del Regno d’Epiro. La concessione dell’autocefalìa, inoltre, può essere oggi considerata come la prova dell’effettiva costituzione del Regno, da molti messa in dubbio: mai, infatti, le autorità religiose ortodosse avrebbero concesso tale attribuzione ad un semplice governatorato autonomo.
Quanto al governo di Atene, continuerà a guardare con grande diffidenza al Regno d’Epiro; e non soltanto e non tanto per la questione nordepirota in sè, quanto piuttosto per la manifesta volontà del piccolo Regno di estendere la propria autorità e la propria rappresentatività a tutto l’Epiro, regione che da parte greca si voleva semplicemente includere nel territorio nazionale, senza il riconoscimento di alcuna particolarità, di alcuna specificità e, soprattutto, di alcuna autonomia.
A nostro parere, era proprio il timore di una secessione epirota a convincere anche Re Costantino dell’opportunità di circoscrivere l’episodio, e ad indurlo – probabilmente – a chiedere al fido Zogràfos di farsi da parte e di dimenticare la sua investitura reale. Gheòrghios Kristaki Zogràfos rientrava perciò disciplinatamente nell’ombra, accettava di andare a ricoprire il ruolo di Ministro degli Esteri nel governo costantinista di Dimìtrios Gùnaris (aprile 1915), e di un Regno d’Epiro non si parlava più, almeno ufficialmente.
Il Regno, comunque, seguiva le sorti del Governo Provvisorio del Nord Epiro, e tramontava con l’occupazione militare del territorio nordepirota da parte albanese (novembre 1916).
Da allora e fino agli anni ’90 del XX secolo, la rappresentanza dello Stato nordepirota è stata assicurata dalla Chiesa ortodossa e dai movimenti di resistenza al regime comunista albanese, che hanno promosso l’attività di governi in esilio.
Dopo una lunga vacatio, infine, il teorico trono dell’Epiro è stato assegnato – proprio dai movimenti di resistenza – al principe Alèxandros (nipote della regina Geraldina d’Albania), il quale nel 2001 ha abdicato in favore di un nobile italiano, il principe Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia.
1) Olga NASSIS: L’Epiro diviso e la minoranza greca in Albania. Tesi di laurea, relatore Marcello SAIJA. Università degli Studi di Messina, Anno accademico 2002-2003.
Autore: Dott. Michele Rallo
Tratto da: www.europaorientale.net
Feria propria dell'8 Gennaio - Vangelo del giorno
Vangelo
Mc 6,34-44
Moltiplicando i pani, Gesù si manifesta profeta.
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci».
E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti.
Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
Parola del Signore
Mc 6,34-44
Moltiplicando i pani, Gesù si manifesta profeta.
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci».
E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti.
Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
Parola del Signore
martedì 4 gennaio 2011
Feria propria del 4 Gennaio - Vangelo del giorno
Vangelo
Gv 1,35-42
Abbiamo trovato il Messia.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,35-42
Abbiamo trovato il Messia.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
Parola del Signore
Messaggio di Auguri.
Gran Priorato di Italia
Gentili Dame, Nobili Cavalieri, Amici Tutti,
a nome e per conto di S.A.R. e S. il Principe Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia, del Gran Priorato di Italia degli ordini dinastici della Real Casa di Epiro e mio personale, siamo a porgerVi i migliori sentimenti di auguri per un felice e prospero Anno Nuovo.
A Voi tutti, alle Vostre famiglie e a tutti i Vostri cari, auguriamo un anno di pace, di serenità, di prosperità e di ogni bene. Che sia un anno che segni la conclusione di tutti i conflitti, che metta fine a tutte le disuguaglianze e che rimetta al centro il rispetto, l'amore per la dignità della persona umana.
Oggi si festeggia la solennità di Maria Santissima Madre di Dio, umilmente poniamoci sotto il Suo manto materno, sotto la Sua protezione, affidando a Nostro Signore Gesù Cristo attraverso la potente intercessione della nostra Madre celeste le nostre necessità e le nostre vite.
Auguri di buon anno a tutti.
Ad Majora.
a nome e per conto di S.A.R. e S. il Principe Davide Pozzi Sacchi di Santa Sofia, del Gran Priorato di Italia degli ordini dinastici della Real Casa di Epiro e mio personale, siamo a porgerVi i migliori sentimenti di auguri per un felice e prospero Anno Nuovo.
A Voi tutti, alle Vostre famiglie e a tutti i Vostri cari, auguriamo un anno di pace, di serenità, di prosperità e di ogni bene. Che sia un anno che segni la conclusione di tutti i conflitti, che metta fine a tutte le disuguaglianze e che rimetta al centro il rispetto, l'amore per la dignità della persona umana.
Oggi si festeggia la solennità di Maria Santissima Madre di Dio, umilmente poniamoci sotto il Suo manto materno, sotto la Sua protezione, affidando a Nostro Signore Gesù Cristo attraverso la potente intercessione della nostra Madre celeste le nostre necessità e le nostre vite.
Auguri di buon anno a tutti.
Ad Majora.
S.E. N.H. Cav. Gr. Cr. Francesco Pilotti
Gran Priore
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