Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali. La Chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi. Nei riti funebri la chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il Battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine. Si iniziò a celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec. XIV. (Mess. Rom.)
Martirologio Romano: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.
A quanti sono morti "nel segno della fede" la Chiesa riserva un posto importante nella liturgia: vi è il ricordo quotidiano nella Messa, con il "memento" dei morti, e nell'Ufficio divino con la breve preghiera "Fidelium animae", e vi è soprattutto la celebrazione odierna nella quale ogni sacerdote può celebrare tre Messe in suffragio delle anime dei defunti. La commemorazione dei defunti, dovuta all'iniziativa dell'abate di Cluny, S. Odilone, nel 998, non era del tutto nuova nella Chiesa, poiché, ovunque si celebrava la festa di tutti i Santi, il giorno successivo era dedicato alla memoria di tutti i defunti. Ma il fatto che un migliaio di monasteri benedettini dipendessero da Cluny ha favorito l'ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell'Europa settentrionale. Poi anche a Roma, nel 1311, venne sancita ufficialmente la memoria dei defunti.Il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV nel 1915. Si è voluta così sottolineare una grande verità, che ha il suo fondamento nella Rivelazione: l'esistenza della Chiesa della purificazione, posta in uno stato intermedio tra la Chiesa trionfante e quella militante. Stato intermedio ma temporaneo, "dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno", secondo l'efficace immagine dantesca. Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo usa l'immagine di un edificio in costruzione.
Scopo della commemorazione di tuttii defunti in passato era quello disuffragare i morti; di qui le Messe, la novena,l’ottavario, le preghiere al cimitero.Questo scopo naturalmente rimane;ma oggi ne avvertiamo un altro altrettantourgente: creare nel corso dell’announ’occasione per pensare religiosamente,cioè con fede e speranza, allapropria morte. Spezzare la congiura delsilenzio riguardo a essa.Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino,si possono fare tutte le ipotesi:forse sarà bello, forse sarà brutto;forse sarà ricco, forse sarà povero, forsevivrà a lungo, forse no. Ma di nessunosi dice: forse morirà, forse non morirà.Questa è l’unica cosa assolutamentecerta della vita. Quando sentiamo chequalcuno è malato di idropisia (al tempodel santo, questa era la malattia incurabile),diciamo: "Poveretto, devemorire; è condannato, non c’è rimedio!". Ma non dovremmo, aggiunge, direla stessa cosa di ogni uomo che nasce:"Poveretto, deve morire, non c’è rimedio"? Un poeta spagnolo dell’Ottocento,Gustavo Bécquer, paragona la vitaumana all’onda che il vento spingesul mare e che avanza vorticosamentesenza sapere su quale spiaggia andrà ainfrangersi; a una candela prossima aesaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti,ignorando quale di essi per ultimobrillerà; e conclude: "Così sono io chemi aggiro per il mondo, senza pensare,da dove vengo, né dove i miei passi micondurranno". Questa percezione mesta, a voltetragica, della morte è comune a tutti,credenti e non, ma la fede cristiana hauna parola nuova e risolutiva, che oggidovrebbe risuonare nella Chiesa enei cuori, una cosa semplice e grandiosa:che la morte c’è, che è il più grandedei nostri problemi, ma che Cristo havinto la morte! La morte non è più lastessa di prima, un fatto decisivo è intervenuto.Essa ha perso il suo pungiglione,come un serpente il cui velenoè capace solo di addormentare la vittimaper qualche ora, ma non di ucciderla."La morte è stata ingoiata per la vittoria.Dov’è, o morte, la tua vittoria?Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?"(1Cor 15,55). Il cristianesimo non si fa strada nellecoscienze con la paura della morte, macon la morte di Cristo. Gesù è venuto aliberare gli uomini dalla paura dellamorte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla.Ai cristiani angustiati per la morte dialcuni cari, san Paolo scriveva: "Fratelli,non vogliamo lasciarvi nell’ignoranzacirca quelli che sono morti, perché noncontinuiate ad affliggervi come gli altriche non hanno speranza. Noi crediamoinfatti che Gesù è morto e risuscitato;così anche quelli che sono morti, Dio liradunerà per mezzo di Gesù insiemecon lui... Confortatevi, dunque, a vicendacon queste parole" (1Tes 4,13ss). Ma come ha vinto la morte Gesù?Non evitandola o ricacciandola indietro,come un nemico da sbaragliare. Masubendola, assaporandone tutta l’amarezza.Non abbiamo davvero un sommosacerdote che non sappia compatirela nostra paura della morte! Tre voltenei vangeli si legge che Gesù pianse e,di queste, due furono per un morto. NelGetsemani egli ha provato, come noi,“paura e angoscia” di fronte alla morte. Che cosa è successo, una volta cheGesù ha varcato la soglia della morte?L’uomo mortale nascondeva dentro disé il Verbo di Dio, che non può morire.Una breccia è stata aperta per sempre attraversoil muro della morte. Grazie aCristo, la morte non è più un muro davantial quale tutto si infrange; è un passaggio,cioè una Pasqua. È una specie di“ponte dei sospiri”, attraverso il quale sientra nella vita vera, quella che non conoscela morte. Confortiamoci a vicenda,anche noi, con queste parole.
Scopo della commemorazione di tuttii defunti in passato era quello disuffragare i morti; di qui le Messe, la novena,l’ottavario, le preghiere al cimitero.Questo scopo naturalmente rimane;ma oggi ne avvertiamo un altro altrettantourgente: creare nel corso dell’announ’occasione per pensare religiosamente,cioè con fede e speranza, allapropria morte. Spezzare la congiura delsilenzio riguardo a essa.Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino,si possono fare tutte le ipotesi:forse sarà bello, forse sarà brutto;forse sarà ricco, forse sarà povero, forsevivrà a lungo, forse no. Ma di nessunosi dice: forse morirà, forse non morirà.Questa è l’unica cosa assolutamentecerta della vita. Quando sentiamo chequalcuno è malato di idropisia (al tempodel santo, questa era la malattia incurabile),diciamo: "Poveretto, devemorire; è condannato, non c’è rimedio!". Ma non dovremmo, aggiunge, direla stessa cosa di ogni uomo che nasce:"Poveretto, deve morire, non c’è rimedio"? Un poeta spagnolo dell’Ottocento,Gustavo Bécquer, paragona la vitaumana all’onda che il vento spingesul mare e che avanza vorticosamentesenza sapere su quale spiaggia andrà ainfrangersi; a una candela prossima aesaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti,ignorando quale di essi per ultimobrillerà; e conclude: "Così sono io chemi aggiro per il mondo, senza pensare,da dove vengo, né dove i miei passi micondurranno". Questa percezione mesta, a voltetragica, della morte è comune a tutti,credenti e non, ma la fede cristiana hauna parola nuova e risolutiva, che oggidovrebbe risuonare nella Chiesa enei cuori, una cosa semplice e grandiosa:che la morte c’è, che è il più grandedei nostri problemi, ma che Cristo havinto la morte! La morte non è più lastessa di prima, un fatto decisivo è intervenuto.Essa ha perso il suo pungiglione,come un serpente il cui velenoè capace solo di addormentare la vittimaper qualche ora, ma non di ucciderla."La morte è stata ingoiata per la vittoria.Dov’è, o morte, la tua vittoria?Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?"(1Cor 15,55). Il cristianesimo non si fa strada nellecoscienze con la paura della morte, macon la morte di Cristo. Gesù è venuto aliberare gli uomini dalla paura dellamorte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla.Ai cristiani angustiati per la morte dialcuni cari, san Paolo scriveva: "Fratelli,non vogliamo lasciarvi nell’ignoranzacirca quelli che sono morti, perché noncontinuiate ad affliggervi come gli altriche non hanno speranza. Noi crediamoinfatti che Gesù è morto e risuscitato;così anche quelli che sono morti, Dio liradunerà per mezzo di Gesù insiemecon lui... Confortatevi, dunque, a vicendacon queste parole" (1Tes 4,13ss). Ma come ha vinto la morte Gesù?Non evitandola o ricacciandola indietro,come un nemico da sbaragliare. Masubendola, assaporandone tutta l’amarezza.Non abbiamo davvero un sommosacerdote che non sappia compatirela nostra paura della morte! Tre voltenei vangeli si legge che Gesù pianse e,di queste, due furono per un morto. NelGetsemani egli ha provato, come noi,“paura e angoscia” di fronte alla morte. Che cosa è successo, una volta cheGesù ha varcato la soglia della morte?L’uomo mortale nascondeva dentro disé il Verbo di Dio, che non può morire.Una breccia è stata aperta per sempre attraversoil muro della morte. Grazie aCristo, la morte non è più un muro davantial quale tutto si infrange; è un passaggio,cioè una Pasqua. È una specie di“ponte dei sospiri”, attraverso il quale sientra nella vita vera, quella che non conoscela morte. Confortiamoci a vicenda,anche noi, con queste parole.
Fonte:www.santiebeati.it
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