Cancelleria degli Ordini Dinastici della Real Casa di Epiro

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martedì 17 agosto 2010

Giorgio Castriota Scanderbeg


Giorgio Castriota Scanderbeg (in albanese: Gjergj Kastrioti Skënderbeu; Dibra, 6 maggio 1405 – Alessio, 17 gennaio 1468) è stato un patriota albanese. Unì i principati dell'Epiro e d'Albania e resistette per 25 anni ai tentativi di conquista dell'Impero turco ottomano; per tale motivo è stimato come Atleta della Cristianità e considerato l'eroe nazionale dell'Albania e di tutti gli albanesi sparsi nel mondo.


Giovinezza
Tra la fine del XIV secolo e i primi decenni del XV secolo l'Albania fu occupata dalle forze ottomane le quali dovettero subito reprimere le rivolte dei principi albanesi. Giovanni Castriota, principe di Kruje e padre di Giorgio Castriota Scanderbeg, fu uno dei signori ribelli all'occupazione ottomana contro cui il sultano Murad II infierì più pesantemente poiché Giovanni era uno tra i potenti ed indomiti condottieri avversi alla occupazione. Le forze ottomane catturarono i quattro figli maschi di Giovanni: Stanisha, Reposhi, Costantino e Giorgio e li tennero come ostaggi, conducendoli alla corte di Adrianopoli. Due di loro morirono, probabilmente uccisi, uno si fece monaco, mentre il quarto, Giorgio, combatté per i Turchi.
Alla corte del sultano, Giorgio Castriota si distinse per capacità ed intelligenza, parlava perfettamente, oltre all'albanese, il greco, il turco, il Latino, il bulgaro e il serbo-croato. Divenne esperto nell'uso delle armi nonché di strategia militare, guadagnò a tal punto la stima e la fiducia del sultano, che gli diede il nome: Iskënder Bej (principe Alessandro, in turco, probabilmente alludendo al Macedone Alessandro Magno), che gli Albanesi nazionalizzarono in Skënderbej.

Ritorno in Albania
Dopo una serie di imprese militari portate a termine brillantemente nell'interesse dei Turchi, la fama del giovane Castriota giunse in Albania e si iniziò a sperare in un suo ritorno in patria. Emissari della sua famiglia lo raggiunsero di nascosto nel quartiere generale del sultano e lo informarono della drammatica situazione degli Albanesi, senza ottenere apparentemente risultati. Il 28 novembre 1443, il sultano diede incarico a Skanderbeg di affrontare una coalizione di eserciti cristiani a maggioranza ungherese guidati dal signore di Transilvania, János Hunyadi ("Il Cavaliere bianco") per riprendersi la Serbia, che il nobile ungherese aveva liberato dall'oppressione ottomana. Skanderbeg, probabilmente influenzato dalle suppliche della sua gente, disattese gli ordini del sultano scegliendo di non intervenire nello scontro e favorendo per giunta di fatto una colossale sconfitta turca. Poi, assieme ad altri suoi 300 fedelissimi albanesi che appartenevano al suo settore di esercito turco, decise di combattere per la causa nazionale albanese, con il suo gruppo di soldati si riprese il castello di Krujë, radunò i nobili e diede inizio alla attività di ricupero nei confronti del territorio occupato dai turchi. In rapidissima successione conquistò tutte le fortezze che erano state occupate.
Skanderbeg, conquistata la fortezza di Croia, si auto-proclamò vendicatore della propria famiglia e del proprio Paese pronunciando queste famose parole: "Non fui io a portarvi la libertà, ma la trovai qui, ...in mezzo a voi".

Guerra contro i Turchi
Il 2 marzo 1444, nella cattedrale veneziana di San Nicola ad Alessio, Scanderbeg organizzò un grande convegno con la maggior parte dei principi albanesi, e con la partecipazione del rappresentante della Repubblica di Venezia; qui egli fu proclamato all'unanimità come guida della nazione albanese. Intanto il sultano Murad II, furioso per il tradimento del suo protetto, inviò contro gli albanesi, un potente esercito guidato da Alì Pascià alla testa di 100.000 uomini. Lo scontro con le forze di Skanderbeg, notevolmente inferiori, avvenne il 29 giugno 1444, a Torvjoll. I turchi riportarono una cocente sconfitta. Il successo di Skanderbeg ebbe vasta risonanza oltre il confine albanese, arrivò fino alle orecchie di Papa Eugenio IV il quale ipotizzò addirittura una nuova crociata contro l'Islam guidata da Skanderbeg.
L'esito dello scontro rese ancora più furibondo il sultano, che ordinò a Firuz Pascià di distruggere Scanderbeg e gli Albanesi e così il comandante ottomano partì alla testa di ben 15.000 cavalieri. Il Castriota lo attese alle gole di Prizren il 10 ottobre 1445 e ancora una volta ne uscì vincitore. Le gesta di Scanderbeg risuonavano per tutto l'occidente, delegazioni del papa e di Alfonso d'Aragona giunsero in Albania per celebrare la straordinaria impresa. Skanderbeg si guadagnò i titoli di "difensore impavido della civiltà occidentale" e "atleta di Cristo".
Ma Murad II non si rassegnava. Allora dispose agli ordini di Mustafà Pascià due eserciti per un complessivo di 25.000 uomini, di cui metà cavalieri, che si scontrarono con gli Albanesi il 27 settembre 1446: l'esito fu disastroso, si salvarono solo pochi turchi e a stento Mustafà Pascià. Le imprese di Scanderbeg, tuttavia, preoccupavano i veneziani, che vedendo in pericolo i traffici nel frattempo stabiliti con i Turchi, si allearono con il sultano per contrastare il Castriota. La battaglia del 3 luglio 1448 vide la sconfitta dei veneziani, che si vendicarono radendo al suolo la fortezza di Balsha.
Nel giugno del 1450, Murad II in persona intervenne contro l'Albania alla testa di 150.000 soldati, assediando il castello di Kruje. I Turchi persero metà dell'esercito e il comandante Firuz Pascià venne ucciso da Scanderbeg. Ma, anche se le straordinarie vittorie avevano inferto profonde ferite alle forze e all'orgoglio turco, avevano pure indebolito le forze albanesi e il Castriota, ben cosciente dei propri limiti, decise di chiedere aiuto ad Alfonso d'Aragona, che si rese disponibile riconoscendo a Scanderbeg il merito di essersi fatto carico di una durissima lotta contro i Turchi, che assai inquietavano la Corona napoletana.
Maometto II, successore di Murad, si rese conto delle gravi conseguenze, che l'alleanza degli albanesi con il Regno di Napoli poteva far nascere, decise quindi di mandare due armate contro l'Albania; una comandata da Hamza-bey, l'altra da Dalip Pascià. Nel luglio del 1452 le due armate furono annientate e mentre Hamza-bey fu catturato, Dalip Pascià morì in battaglia.
Altre incursioni turche si tramutarono in sconfitte, Skopje il 22 aprile del 1453, Oranik nel 1456, il 7 settembre 1457 nella valle del fiume Mati. Infine, nel corso del 1458 in una serie di scontri scaturiti da offensive portate questa volta da Skanderbeg, altre tre armate turche furono sbaragliate.
La fama di Scanderbeg fu incontenibile, anche per il fatto che i suoi uomini a disposizione non erano mai più di 20000, ed al sultano turco non rimase altro che chiedere di trattare la pace, il Castriota rifiutò ogni accordo e continuò la sua battaglia.
Nel 1459 si recò in Italia per aiutare Ferdinando I, re di Napoli, figlio del suo amico e protettore Alfonso d'Aragona nella lotta contro il rivale Giovanni d'Angiò e del suo esercito.
Intanto, altre due armate turche comandate da Hussein-bey e Sinan-bey, nel febbraio del 1462, mossero contro gli albanesi costringendo Skanderbeg a rientrare in tutta fretta nella sua patria, per guidare il suo esercito. Ci fu una furiosa battaglia presso Skopjë che vide i turchi annientati e il sogno di Maometto II, di far giungere il potere musulmano fino a Roma infrangersi. La decisione finale fu un trattato di pace firmato il 27 aprile 1463 tra Maometto II ed il Castriota.
Ferdinando I nel 1464, in segno di riconoscimento per l'aiuto ricevuto da Scanderbeg, concesse al signore albanese i feudi di Monte Sant'Angelo, Trani e San Giovanni Rotondo. Intanto, la morte di papa Pio II ad Ancona, il 14 agosto 1464, determinò il fallimento della grande crociata che il Pontefice aveva in mente e che teneva in grande apprensione il sultano. Quest'ultimo, nel settembre del 1464, incaricò Sceremet-bey di muovere contro gli albanesi, ma i turchi furono nuovamente sconfitti. Il figlio di Sceremet-bey fu catturato e rilasciato a fronte di un grosso riscatto.
L'anno dopo, scongiurato il pericolo della crociata, il Sultano intravide la possibilità di farla finita con il Castriota, mise insieme un poderoso esercito affidandolo ad un traditore albanese, il quale era stato cresciuto allo stesso modo di Scanderbeg, Ballaban Pascià. Ma anche quest'impresa fallì; l'esercito turco in prossimità di Ocrida, fu messo in fuga dalle forze albanesi.
Ancora una volta, nella primavera del 1466, riunì forze imponenti, mosse contro gli albanesi e cinse d'assedio Krujë; una serie di scontri furiosi, nel corso dei quali Ballaban Pascià fu ucciso, portarono Scanderbeg ad un'ennesima e straordinaria vittoria. Maometto II ostinatissimo nella sua lotta contro il Castriota, riorganizzò il suo esercito e, nell'estate del 1467, pose di nuovo l'assedio a Krujë, ma, dopo innumerevoli tentativi, dovette rassegnarsi a sgombrare il campo. Nonostante i successi in imprese, alcune delle quali, assolutamente straordinarie, Scanderbeg si rese conto che resistere alla pressione turca diventava sempre più difficile.
La stessa preoccupazione convinse il doge di Venezia ad inviare Francesco Cappello Grimani da Scanderbeg per organizzare una difesa comune, ma l'ambasciatore veneziano non poté portare a termine l'incarico perché Skanderbeg morì di malaria, ad Alessio, il 17 gennaio 1468.
Kruja, l'eroica cittadina, cadde nelle mani turche dieci anni dopo la sua morte.
Erede di Giorgio Castriota fu Giovanni, il figlio avuto dalla moglie Marina Donika Arianiti. Giovanni (a quel tempo era ancora un fanciullo) si rifugiò con la madre a Napoli, dove fu ospitato affettuosamente da Ferdinando d'Aragona, figlio d'Alfonso.
Nel 1481, Giovanni radunò alcuni fedelissimi e sbarcò a Durazzo, osannato dal popolo, ma non riuscì a portare a termine alcuna impresa poiché i turchi vanificarono immediatamente i tentativi del figlio di Scanderbeg.

Discendenti
La famiglia Castriota Scanderbeg, alla morte di Giorgio [1], ottenne dalla corona aragonese il ducato di San Pietro in Galatina e la contea di Soleto (Lecce, Italia). Giovanni, figlio di Scanderbeg, sposò Irene Paleologo, ultima discendente della famiglia imperiale di Bisanzio. In virtù di tale imparentamento, i membri della famiglia Castriota Scanderbeg oggi rappresentano gli unici discendenti diretti degli ultimi imperatori di Costantinopoli[2].
Attualmente esistono due linee della famiglia Castriota Scanderbeg d'Albania, una delle quali discende da Pardo e l'altra da Achille, entrambi figli naturali del Duca Ferrante, figlio di Giovanni e nipote di Scanderbeg. Entrambe fanno parte da secoli della nobiltà italiana e membri del Sovrano Militare Ordine di Malta con prove di giustizia [3]. L'unica figlia legittima del Duca Ferrante, Erina, nata da Adriana Acquaviva, ereditò lo Stato paterno, portando il ducato di Galatina e la contea di Soleto nella famiglia Sanseverino dopo il suo matrimonio con il principe Pietrantonio Sanseverino, conte di Tricarico.

Leggenda
Durante una furente battaglia contro i Turchi che si prolungò oltre il tramonto, lo Skanderbeg ordinò ad alcuni suoi soldati di recuperare un branco di capre, fece legare delle torce accese alle loro corna e le liberò in direzione delle file dei soldati turchi a notte inoltrata. I Turchi credendo di essere assaliti da preponderandi forze albanesi batterono in ritirata. Per l'importante servigio reso dall'animale il nostro eroe decise di assumerlo come suo emblema e raffigurarlo sul suo elmo.
Appena diffusasi la notizia della morte di Skanderbeg, i Turchi decisero di assalire quantoprima le forze albanesi in virtù del basso morale che l'avvenimento aveva generato. I luogotenenti albanesi allora decisero di ricorrere ad un singolare stratagemma: presero dal letto di morte il corpo esanime del loro condottiero e lo issarono sul suo cavallo, spronandolo in battaglia con dietro tutto il suo esercito. I Turchi, sentitisi ingannati dalla falsa notizia circa la sua morte, batterono in ritirata.


Narra una leggenda che Scanderbeg sul punto di morte ordinasse al figlio di sottrarsi dalla vendetta turca fuggendo in Italia; gli disse inoltre che appena fosse sbarcato sulla spiaggia avrebbe trovato un albero presso cui legare il suo cavallo e la sua spada e per sempre quando avesse soffiato il vento i turchi avrebbero sentito la spada di Skanderbeg volteggiare nuovamente nell'aria e il suo cavallo nitrire e, per paura, non lo avrebbero seguito.
Durante gli anni in cui i turchi provavano a conquistare l'impero di Skanderbeg, la strada che portava a Kruje, fu chiamata “jezitjoll”, cioè la via del diavolo.
Un partecipante alla spedizione contro l'Albania disse “il loro guerriero più debole è paragonabile al più forte dei nostri guerrieri turchi”.
Il palazzo a Roma dove risiedette Skanderbeg negli anni 1465-6 porta ancora il suo nome, sebbene non offra purtroppo testimonianze delle sue gesta, ma ospiti oggi il "Museo Nazionale delle Paste Alimentari". Nella città è anche presente una statua a lui dedicata, situata a piazza Albania.
Gli è dedicata la piazza principale di Tirana.
Un monumento[4] a Scandergerg è stato inaugurato nel 1968 a Bruxelles dagli immigrati albanesi per celebrare i 500 anni della sua morte.
A Fermo nel 2005 per celebrare 600 anni della sua nascita e stata inaugurata una piazza intitolata Giorgio Kastriota Skanderbeg Eroe Albanese e due anni dopo nel 2007 per l'occasione della festa Nazionale Albanese 95º anniversario d'indipedenza, con il contributo dell'Associazione Skanderbeg a Fermo, è stato inaugurato il busto del Eroe.

Il 22 giugno 1718 il compositore Antonio Vivaldi mise in scena al Teatro della Pergola di Firenze il dramma Scanderbeg su libretto di Antonio Salvi.
Le gesta di Skanderbeg nella battaglia di Krujie sono state raccontate nel romanzo I Tamburi della Pioggia di Ismail Kadare.
La presenza di Skanderbeg in Italia è stata raccontata nel romanzo storico Skanderbeg-La campagna d'Italia di Alban Kraja
Nel XVI secolo una discendente dello Scanderberg ha sposato l'architetto e ingegnere urbinate Iacopo Fusti (1510-1562), quest'ultimo ha aggiunto, dopo il matrimonio, il cognome Castriota in onore del celebre avo della consorte.
In Umbria, presso il Castello di Castelleone, un'antica fortezza feudale di origini medioevali nei pressi di Deruta (Perugia), è presente una statua equestre a dimensioni naturali di Giorgio Castriota Skanderbeg. La grande scultura è posizionata sulla cima della cosiddetta Torre Longobarda del castello, risalente al XII sec. Secondo recenti ricerche storiche svolte presso gli Archivi Vaticani e la Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, il Castriota, proprio dalla sommità di quest'antica torre, avrebbe incitato i Perugini alla Crociata contro i Turchi di cui l'aveva incaricato Papa Pio II Piccolomini e che lo aveva indotto, attorno agli anni 1465/66, a risalire da Roma la Valle del Tevere fino a Perugia Vecchia.
Nel suo letto di morte, Scanderberg, ordinò, fra tutte le persone riunite accanto a lui, ad un bambino di andare fuori, raccogliere tanti pezzetti di legno e di queste farne un mazzo. Al suo ritorno lui sfidò i presenti a spezzare questo mazzo, ma nessuno di essi riuscì nell'impresa. Fu cosi che il nostro eroe disse allora al giovane di disfare il mazzo e romperli uno per volta... Concluse dicendo: "Con questo gesto, io, vi volevo dimostrare che se restate tutti uniti nessuno potrà mai spezzarvi, ma dividendovi anche un solo bambino potrà condurvi alla morte".
Detto questo spirò.


Tratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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